Il "debole" Sessions lancia la guerra ai leak preparata da Trump
L'inchiesta sulla Russia cambia passo, Bannon è sotto pressione, il generale Kelly tenta di mettere ordine
Roma. Il direttore dell’intelligence americana, Dan Coats, ha chiuso la conferenza stampa con un messaggio inequivocabile per i leaker: “Vi troveremo, vi indagheremo, vi incrimineremo e non sarete contenti dei risultati”. E’ dal giorno dell’insediamento che Donald Trump lamenta il quotidiano passaggio di informazioni riservate dal parte di funzionari ai giornalisti, e venerdì il dipartimento di Giustizia ha annunciato la costituzione di una task force per individuare e punire i responsabili. Con toni minacciosi, il procuratore generale, Jeff Sessions, ha denunciato la “cultura dei leak” che domina incontrastata in tutti gli ambienti di governo. Sessions ha detto che dall’inizio del 2017 il dipartimento ha aperto il triplo delle indagini sui leak rispetto al 2016 – e l’Amministrazione Obama si era distinta per una decisa stretta sulla fuga di informazioni – e l’annotazione è arrivata pochi giorni dopo che Trump ha definito “debole” Sessions nel contrastare queste attività. L’ex senatore dell’Alabama è uscito dalle grazie del presidente da quando ha deciso di ricusarsi nell’inchiesta con i rapporti con la Russia, e l’iniziativa annunciata venerdì può offrirgli un’altra chance per riaffermare la fedeltà al presidente. Strizzando l’occhio alla retorica presidenziale contro i media, Sessions ha detto che occorre “bilanciare il ruolo della stampa con il rispetto della sicurezza nazionale” e ai funzionari che stanno pensando a diffondere informazioni ha detto: “Non fatelo”. Una minaccia più che un consiglio.
L’istituzione del gran giurì. Il procuratore speciale Robert Mueller ha ordinato l’istituzione di un gran giurì nell’inchiesta sulla collusione fra gli uomini di Trump e il Cremlino, una manovra procedurale – ma non formale – che gli permette di emettere mandati vincolanti, lo mette al riparo dalle accuse di condurre un’inchiesta viziata o di parte e allo stesso tempo rende più complicato per la Casa Bianca disporre un suo eventuale licenziamento. Significa che il raggio dell’inchiesta si sta allargando, e cresce la necessità di introdurre nuove prove e testimonianze.
McMaster contro Bannon. Nelle ultime tre settimane il consigliere per la Sicurezza nazionale, H. R. McMaster, ha licenziato tre fedelissimi dello stratega Bannon, segni espliciti della guerra più cruenta che si sta consumando all’interno della Casa Bianca. Alcuni lealisti epurati di Bannon avevano fatto circolare memo contro i “globalisti”, il “deep state”, i banchieri e altre forze dell’establishment che hanno preso il controllo di ampi settori dell’Amministrazione. McMaster è considerato il maggior rappresentante di queste categorie. Il blogger Mike Cernovich, trupiano di scuola bannoniana, rilancia di continuo il sito McMasterLeaks, che raccoglie tutte le notizie che dovrebbero dimostrare che McMaster sta sabotando la Casa Bianca dall’interno. Nella homepage il consigliere della Sicurezza nazionale è rappresentato come una marionetta mossa da George Soros, il grande spauracchio dei cospirazionisti.
Il generale fa pulizia nello Studio Ovale. Il nuovo capo di gabinetto, il generale John Kelly, ha trovato una Casa Bianca in subbuglio, disfunzionale, lacerata dagli scontri fra bande. Ha iniziato a mettere ordine a suon di licenziamenti. Il suo mandato è iniziato con la cacciata di Anthony Scaramucci – su mandato del presidente – e tre giorni dopo il suo insediamento ha appoggiato la decisione di McMaster di sbarazzarsi di Ezra Cohen-Watnick, un funzionario molto vicino a Bannon e Kushner. Leon Panetta, ex segretario della Difesa che aveva promosso Kelly a suo consigliere, dice che se c’è una persona che può indicare al presidente qual è la strada per mettere ordine nel delirio della Casa Bianca, quella è Kelly: “Il problema è se il presidente gli darà l’autorità necessaria per fare il suo lavoro”.