Il Qatar usa Neymar e il Psg per rifarsi il trucco davanti al mondo
L’approdo dell’attaccante brasiliano al Paris Saint-Germain è l’affare calcistico più intrigante degli ultimi anni. Cosa significa per Francia e Qatar
Parigi. “Un re a Parigi”, ha titolato ieri L’Équipe. “Il colpo del secolo”, ha scritto il Monde. L’approdo dell’attaccante brasiliano Neymar al Paris Saint-Germain è l’affare calcistico più intrigante degli ultimi anni, sia per il modi hollywoodiani in cui è avvenuto, sia perché annuncia l’inizio di una nuova epoca per il football, arma efficace di soft power. Il Qatar, artefice dell’operazione tramite il fondo sovrano Qatar Sports Investment, proprietario del Psg, ha lanciato un messaggio politico con il trasferimento dell’ex attaccante del Barcellona a Parigi, e come raccontato ieri dal Figaro si tratta soltanto del primo tassello per acquistare una “legittimità calcistica” a cinque anni dalla coppa del Mondo in casa. Neymar sarà la mascotte dei Mondiali di calcio 2022 a Doha, e nel momento in cui gli stati limitrofi, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto accusano gli emiri di finanziare surrettiziamente il terrorismo islamico e mantengono un duro blocco diplomatico e commerciale, è necessario riaffermare rapidamente la propria potenza. L’acquisto della stella del calcio brasiliano firmato Tamin bin Hamad al Thani – l’attivissimo emiro 37enne moltiplica le sue incursioni in Europa aggiudicandosi quote importanti di grandi gruppi editoriali, come Lagardère, grandi banche, come Hsbc, senza dimenticare Airbus, AccorHotels, Vinci e Véolia Environnement –, rientra dunque nella strategia di rottura dell’isolamento diplomatico imposto dal fronte guidato dall’Arabia Saudita. Il Psg, più di tutti gli altri beni europei sotto controllo degli emiri, rappresenta ora la vetrina internazionale del Qatar, la chiave diplomatica per mantenere elevata la propria influenza e mostrare i muscoli ai vicini, il cosiddetto “quartetto anti Doha”, che la scorsa settimana, a Manama, in Bahrein, ha ribadito fermezza e intransigenza nei confronti dei qatarioti.
Con il Paris Saint-Germain diventa vetrina anche Parigi, dove il Qatar è sempre il benvenuto dai tempi di Nicolas Sarkozy, apripista, nel 2011, dell’arrivo del Qatar Sports Investment al Parc des Princes e della nascita di BeIn Sports, filiale francese del gruppo qatariota BeIn Media Group. Anche il nuovo inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, messe da parte le sue simpatie calcistiche per l’Olympique di Marsiglia, storica rivale del Psg, sembra essere soddisfatto dell’arrivo di Neymar nella capitale. “E’ una buona notizia”, ha commentato Macron mercoledì pomeriggio. E’ il simbolo dell’“attrattività” della Francia, ha aggiunto, dopo essersi intrattenuto al telefono con il presidente del Psg, Nasser al Khelaifi. Entusiasta per l’arrivo del calciatore brasiliano è anche il ministro delle Finanze, Gérald Darmanin, che prima ancora dell’ufficialità del trasferimento già pregustava il “buon affare” anche per le finanze pubbliche. “Se effettivamente Neymar venisse in un club francese, allora il ministro delle Finanze non potrebbe che essere contento per le tasse che pagherà in Francia (…) E’ meglio che un giocatore di calcio paghi le sue tasse in Francia piuttosto che altrove”, ha detto Darmanin.
L’acquisto dell’ex attaccante blaugrana, accolto ieri a Parigi quasi come un capo dello stato, con la Tour Eiffel tinta di verdeoro e le file chilometriche fuori dagli store del Psg per accaparrarsi la nuova maglia numero 10, è una mossa diplomatica che fa bene a entrambi gli stati coinvolti. La Francia di Macron cerca di beneficiare della luce di Neymar per ritrovare almeno in apparenza barlumi della grandeur sportiva passata, e il Qatar, isolato dai suoi vicini e in piena cura di austerità a causa della crisi del petrolio (il budget dei Mondiali è stato ridotto della metà), “deve imperativamente accreditarsi come un vero paese sportivo”, come scrive il Figaro. Il prossimo obiettivo diplomatico di Doha e di Parigi è la vittoria della Champions League, magari in finale contro quel Barcellona che lo scorso marzo, al Camp Nou, aveva quasi rotto il giocattolo degli emiri.
Dalle piazze ai palazzi