Dopo la ribellione di Valencia, i giorni di Maduro potrebbero essere contati
La maldestra operazione messa in piedi da un piccolo gruppo di militari nella terza città del paese, seguita da una sollevazione di civili, è segno che il regime non ha solo amici dentro le Forze armate
Valencia si è ribellata contro il regime chavista con una sollevazione militare avvenuta all’alba di domenica, alla notizia della quale molti civili sono scesi in strada formando barricate e sassaiole contro i blindati dell’esercito arrivati a sedarla.
Non è una bella notizia per Maduro. Valencia è la terza città del paese, ha due milioni di abitanti. Se una insurrezione in armi di una ventina di ufficiali al seguito di un capitano anti-chavista ritirato è accolta con giubilo dalla popolazione civile vuol dire per il presidente, già assediato dalla guerra per bande dentro al governo, che la sua fine politica potrebbe non essere lontana.
Gli scontri sono durati poche ore, si sono conclusi con due morti e una decina di arresti tra i militari che, guidati dall’ex capitano della Guardia nazionale, Juan Caguaripano, avevano tentato senza successo di prendere il controllo del forte di Paramacay, la più importante base di blindati del paese.
L’ex capitano Caguaripano è stato espulso dall’esercito nel 2014. Da allora è latitante con l’accusa di tradimento e ribellione per aver partecipato sia al movimento d’opposizione "La salida" (la via d’uscita), che tempo fa tentò invano di dare la spallata al regime sia a un tentato golpe, dallo stesso esito, conosciuto come il Golpe azul, il golpe azzurro, per il colore della divisa dei pochi militari che vi parteciparono, tutti al comando di Oswaldo Hernández Sánchez, generale di brigata dell’aviazione.
Nelle prime ore di domenica, mentre si sentivano spari provenire dal forte di Valencia, si è temuto un auto-golpe. Niente di più utile per il regime, per giustificare di fronte alla pressione internazionale un ulteriore restringimento delle già esili libertà democratiche, che poter sbandierare un (finto) tentativo di colpo di stato. Questa ipotesi ha perso quota con la diffusione di un video, fatto circolare durante l’assalto, in cui l’ex capitano, circondato da ufficiali, spiega i suoi intenti e sottolinea che “non si tratta di un golpe, ma di una ribellione civico-militare per porre fine al regime di Maduro”.
Al di là dei toni da operetta, del numero esiguo dei partecipanti alla maldestra operazione e della goffa imitazione da parte del capitano del discorso con cui nel 1992 l’allora tenente colonnello Hugo Chàvez si presentò con un video ai venezuelani come il loro possibile salvatore rivendicando di essere il responsabile di un fallito golpe (il famoso discorso del “Por ahora” desistiamo, che fu il debutto mediatico del futuro presidente) il semplice fatto che un gruppo di militari anti-Maduro tenti di prendere la situazione in mano e venga seguito da una sollevazione di civili è segno che il regime non ha solo amici dentro le Forze armate. Maduro lo sa ed è per questo che in strada a reprimere le manifestazioni contro di lui manda sempre la polizia militare, mai l’esercito di cui non si fida. Non a caso l’opposizione – che non ha una guida politica unitaria e nonostante sia formalmente raccolta in un unico tavolo, il Mud, resta un condominio litigioso in cui ogni dirigente parla per sé senza riuscire a rappresentare una maggioranza interna – ogni volta che riesce a stendere un comunicato, ogni volta che esorta alla resistenza contro Maduro, rivolge un appello alle forze armate, e non alla polizia militare, affinché si schierino apertamente contro il regime. Finora senza successo.