La francese Renault investe molto in Iran, è una sfida a Washington
Gli europei intendono lavorare con l’Iran e si oppongono alla politica di chiusura voluta da Donald Trump. La spinta della Francia è anche figlia della nuova politica mediorientale di Macron
Roma. L’accordo concluso due giorni fa a Teheran dalla casa automobilistica francese Renault è il nuovo capitolo della corsa europea agli investimenti in Iran dopo l’annullamento delle sanzioni economiche internazionali. Ed è anche la prova che c’è una differenza di vedute enorme tra Parigi e Washington, perché l’amministrazione Trump è molto sospettosa e non gradisce questo riavvicinamento così rapido con Teheran.
Francesi e iraniani hanno firmato un contratto dal valore di 660 milioni di euro per costruire in Iran 150.000 automobili l’anno. Renault costituirà una compagnia insieme all’Idro, il colosso industriale controllato dallo stato iraniano, e Parto Negin Naseh, l’attuale importatore delle auto Renault nel paese. Accanto alla fabbrica è prevista anche l’installazione di uno stabilimento per la costruzione dei motori, segno che i francesi intendono localizzare il più possibile la produzione. L’investimento è una conseguenza dell’accordo sul nucleare, concluso sì per controllare gli sviluppi del programma atomico persiano ma anche per evidenti ragioni economiche. L’Iran rappresenta un mercato imponente: ha quasi gli stessi abitanti della Germania (circa 80 milioni), e ha bisogno di modernizzare le infrastrutture, esportare le proprie risorse energetiche e soprattutto acquistare beni di consumo visti i quarant’anni di isolamento internazionale.
Thierry Coville, ricercatore esperto di Iran all’Iris di Parigi spiega al Foglio quali sono le prospettive per le imprese francesi e europee: “Il paese è pronto ad accogliere i capitali stranieri: la società iraniana è favorevole agli investimenti esteri perché consapevole che sono necessari per modernizzare l’economia e abbassare la disoccupazione. E infatti non sono solo le grandi compagnie a essere interessate: molte piccole e medie imprese francesi vedono nell’Iran un’occasione da non perdere”. Gli investimenti avvengono però in un contesto difficile, viste le nuove sanzioni approvate dal Congresso americano. Secondo Coville “l’atteggiamento statunitense continua a pesare: nel settore della telecomunicazione alcune aziende francesi vorrebbero investire, ma hanno paura di associarsi a aziende iraniane che figurano sulle black list americane. Questo inevitabilmente rallenta il processo”. Per gli analisti un importante freno agli investimenti viene dalla diffidenza delle banche: nel 2014 Bnp Paribas fu costretta da un tribunale di New York a pagare una multa di 8,9 miliardi di dollari per aver violato l’embargo imposto dagli americani.
“Le banche europee sono traumatizzate dall’affaire Bnp Paribas” dice Coville. “Se in questo momento qualcuno entra in un ufficio di una banca europea per parlare di Iran viene gentilmente accompagnato alla porta. E non scherzo: le banche temono di perdere le licenze che consentono di operare negli Stati Uniti. Difficile investire in un paese senza poter usufruire di servizi bancari.” Questa situazione può portare a delle tensioni tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti? “Le tensioni esistono già: gli europei intendono lavorare con l’Iran e si oppongono alla politica di chiusura voluta da Donald Trump. L’accordo sul nucleare è stato raggiunto anche grazie alla mediazione europea e tutti gli stati dell’Unione lo sostengono: non c’è interesse né a mantenere le sanzioni né ad aggiungerne altre. Su questo Europa e Stati Uniti viaggiano in direzione contraria”.
La spinta della Francia verso l’Iran è anche figlia della nuova politica estera di Macron, che intende riequilibrare la presenza francese in medio oriente. “La Francia è storicamente vicina ai paesi del golfo ma con l’elezione di Rohani, senza dirlo apertamente, ci stiamo orientando verso l’Iran. La repubblica islamica è un attore strategico nella regione ed è impossibile prescinderne nonostante i nostri legami con i sauditi e con Israele. Macron è un uomo pragmatico e l’ha capito: non intende farsi scappare un’occasione del genere, sia per il potenziale economico sia per le opportunità di stabilizzare la regione”.
I conservatori inglesi