L'equilibrio atomico 2.0
Corea. Cina. Russia. Il mondo è fermo perché gira intorno agli archetipi della guerra e della politica di potenza. L’Europa è cambiata in meglio, l’America no. La fragilità è forte. Non resta che sperare in un Pentagono lontano dai campi da golf
Com’è fermo il mondo. La Corea. Tra il 1950 e il 1953, sessantasette anni fa, nasce il problema. La Cina rossa invade, gli americani intervengono, i russi fanno il doppio gioco, una specie di prosecuzione sghemba della guerra mondiale, una anticipazione di quanto accadrà in Vietnam, carrettate e carrettate di morti (calcoli parlano di due milioni e ottocentomila compresi i civili), guerra vera in certo senso pretecnologica, c’erano Truman, Mao, Stalin sul finire della sua vasta e maligna esistenza storica, Churchill. Il generale MacArthur recupera, l’armistizio decide per la divisione sul 38° parallelo. Nascono due Coree, una dinastica rossa e una democratico-liberale, una nera la notte in foto satellitare e miserabile, l’altra illuminata e all’avanguardia dello sviluppo, come ricordò più tardi Donald Rumsfeld, ministro della difesa neoconservatore di George W. Bush. A proposito di neoconservatori, uno di loro, John Bolton, un pezzo da novanta dell’Amministrazione Bush, disse nel 1996 che bisognava finirla con il regime nordcoreano (“The end of North Corea” era il libro che consigliava a tutti di leggere). Il 2006 è l’anno in cui un Kim, e non importa quale, sono tutti uguali, incomincia a giocare con le testate nucleari, sviluppando il programma che ora spaventa il mondo, quando forse è troppo tardi. Sono passati da allora due anni del secondo mandato di Bush, invano, otto anni di leading from behind di Obama il Riluttante, invano, sei mesi da brivido di Trump che ora annuncia “fuoco e furia” da un campo da golf, dopo il missile intercontinentale e la rivelazione Cia di un ordigno atomico fruibile sperimentato dai generali di un altro Kim, e sembra una brutta serie televisiva.
Continuiamo a sparlare dei neocon, facciamoci del male. Il mondo è fermo perché gira intorno agli archetipi della guerra e della politica di potenza. Solo l’Europa è in parte cambiata, perché élite geniali hanno ristrutturato i poteri e il modello costituzionale. La questione è sempre la stessa. La Cina mantiene la Corea del nord in vita, non sa rinunciare a questo legame, che le pesa nel nuovo contesto internazionale di espansione economica e di sfida globale, ma è un lascito di supremazia regionale, non si molla il regime antagonista della Corea del sud popolata da soldati americani e ingombrata da un modello turbocapitalistico e turbodemocratico, con il Giappone sullo sfondo.
La Russia, stavolta con Putin anziché Stalin, con gli oligarchi e il presidenzialismo monocratico al posto del partito unico, fa anch’essa il doppio gioco. All’Onu votano la risoluzione che mette un freno alle pazzie lucide di Kim, ma nel gioco degli emendamenti riesce a ottenere la cancellazione di una no-fly zone e la prosecuzione del traffico di lavoratori-schiavi che connette i due paesi, mentre le relazioni speciali tra le tecnologie, anche vecchie, antiquate, dicono che il programma nordcoreano nasce da tecniche nucleari tardosovietiche, e sono dimostrati rapporti importanti con l’Iran e l’Ucraina prima della rivoluzione cosiddetta arancione. Guerra fredda interminabile. Il triangolo Washington-Mosca-Pechino, e la Corea, anzi le Coree e tutto il sud-est asiatico, come oggetto di una manovra geopolitica ai confini della fissione nucleare. La carta della terra ha la data del 1950. Con una variante decisiva: la Casa Bianca è incredibile, il potere presidenziale una brutta barzelletta che fa e non fa ridere. Tuttavia non c’è alternativa. Trump ha con sé generali capaci, che si spera sappiano usare la deterrenza rimasta per non fare la guerra, che è spesso il mestiere più amato dai generali intelligenti. Se ci sia spazio per questo equilibrio atomico 2.0, chissà. In caso di conflitto, sapendo che sarebbe devastante, e “devastating” è un aggettivo che piace a quel bullo senza equilibrio eletto dagli americani loro presidente, non resterebbe che allinearsi con il Pentagono, sperando che agisca in autonomia dai campi da golf del New Jersey.
I conservatori inglesi