Quanto piace agli antagonisti dell'America far innervosire Trump
Aerei spia russi sui campi da golf, droni iraniani, insulti coreani. È come se tutti volessero sfruttare il fatto che il presidente è un celebre impulsivo e spesso reagisce in modo arruffato ai casi del giorno
Roma. Mercoledì un aereo spia russo ha prima sorvolato Washington e poi Bedminster nel New Jersey, dove il presidente americano Donald Trump è in vacanza in uno dei suoi resort con annessi campi da golf. Gli aerei spia della Russia e dell’America possono compiere voli di sorveglianza reciproci grazie a un trattato del 1992 che prevede un protocollo rigido – rotta comunicata con 72 ore di anticipo, osservatori dell’altro campo a bordo – ma il tracciato di questo volo non aveva nessun significato dal punto di vista militare e i russi sapevano che il passaggio non sarebbe passato inosservato (l’aereo spia è grande come un aereo di linea). Si è trattato di una provocazione.
Questo genere di trollaggio da parte degli antagonisti dell’America si fa sempre più ravvicinato: tre giorni fa nel Golfo Persico un drone iraniano si è messo di mezzo tra un aereo americano F-18 Super Hornet e la sua portaerei durante la fase di atterraggio, a circa trenta metri, l’aereo se l’è cavata con un paio di manovre per evitare la collisione ma il comportamento del drone iraniano è stato giudicato aggressivo. E’ già la tredicesima volta che succede quest’anno, ha commentato il Pentagono. In acqua è lo stesso: alla fine di luglio una nave americana ha sparato alcuni colpi di avvertimento per far cambiare rotta a un vascello delle Guardie rivoluzionarie ed è soltanto l’ultimo episodio di un confronto più o meno silenzioso tra americani e iraniani. Si tratta di tattiche maligne e usate molto anche in passato per fare innervosire gli avversari, ma ora c’è un punto debole e molto esposto. E’ come se gli antagonisti dell’America volessero sfruttare il fatto che il presidente è un celebre impulsivo e che spesso reagisce in modo arruffato ai casi del giorno. E’ una caratteristica del suo comportamento così conosciuta che non meraviglia che mercoledì sera, per rispondere alla domanda di un giornalista, il presidente abbia deviato dal corso di una conferenza stampa e abbia minacciato una rappresaglia atomica contro la Corea del nord senza prima essersi coordinato con gli altri membri dell’Amministrazione.
Pyongyang eccelle in questo tipo di pressione dispettosa contro Trump: a giugno lo aveva preso in giro per un tweet presidenziale di gennaio, in cui Trump assicurava che una Corea dotata di missili balistici intercontinentali non sarebbe mai esistita (e invece eccoci qui). Dopo la minaccia trumpiana di mercoledì sera a proposito del fuoco e della furia come il mondo non ha mai visto, i coreani hanno risposto che si trattava di un “cumulo di insensatezze”, pronunciate da “un uomo privo di senno che sta diventando senile”. All’inizio di agosto Pyongyang aveva risposto al divieto per gli americani di visitare la Corea del nord annunciato da Washington con un invito aperto a tutti i cittadini americani “a venire in Corea del nord per vedere la realtà con i vostri occhi”. Com’è naturale, le provocazioni calcolate sono sempre esistite – di sicuro gli incontri ravvicinati tra aerei russi o iraniani e americani e le minacce coreane non sono una novità di quest’anno. Ma adesso c’è la speranza di colpire un bersaglio che reagisce con strepito. Persino il singolo bombardamento con armi chimiche fatto dall’aviazione di Bashar el Assad in Siria ad aprile può essere messo in questa categoria: compiere una provocazione e poi studiare l’effetto che fa a Washington.
L'editoriale dell'elefantino