Sui migranti sembra un'altra Italia
Trafficanti, alleati e Bruxelles ci vedono con occhi nuovi. Conseguenze
Roma. E’ cambiata la percezione del ruolo dell’Italia a proposito del dossier immigrazione. E questa nuova percezione dall’esterno sta avendo conseguenze molto importanti. Negli anni scorsi il ruolo dell’Italia era considerato molto passivo, il nostro paese era visto come una protuberanza geografica dell’Europa senza capacità di prendere decisioni significative e senza un piano: esemplificando, era un molo d’attracco che prometteva di essere il varco per raggiungere il resto dell’Europa. Negli ultimi sei mesi (soprattutto) questa percezione di debolezza è stata stravolta a tappe forzate, perché il governo ha fatto capire che il controllo dell’immigrazione è una priorità reale, che saranno spesi soldi e risorse, che saranno impegnati uomini e cambiate leggi, che ci saranno richieste a stati confinanti, alla Libia e ad altri stati africani e alle ong. Questa impostazione produce conseguenze. Il governo di Tripoli non è mai stato così duro con il traffico di persone, la marina libica riporta indietro i barconi che intercetta e due giorni fa ha creato una zona interdetta alle iniziative private di soccorso in mare – le navi delle ong per cautela hanno accolto questa notizia indietreggiando di decine di chilometri.
Si deve continuare a discutere delle condizioni inumane dei centri di raccolta in Libia e della corruzione della Guardia costiera – che non è tutta e sempre impegnata contro gli scafisti – ma per ora queste sono misure che rendono la vita degli scafisti libici più difficile e non più facile. Intanto il numero di sbarchi sulle coste spagnole negli ultimi cinque mesi è triplicato, segno che la rotta italiana non è più considerata come la migliore per tentare la traversata. Ieri due media internazionali, Wall Street Journal e Politico, raccontavano la diminuzione degli arrivi di migranti sulle coste italiane registrata a partire da luglio in confronto all’anno scorso ed è probabile che molti interessati al settore abbiano preso nota. Insomma, il traffico di persone è un mercato e in quanto tale reagisce a ogni nuova informazione e anche alle proiezioni di quello che accadrà. Se la rotta dell’immigrazione che parte da Niger e Nigeria – che hanno stretto accordi anti traffico con il governo italiano nel marzo 2016 e nell’aprile 2017 – e poi passa per la costa della Libia e punta verso l’Italia cessa di essere così attrattiva come era sempre stata negli anni scorsi, è lecito aspettarsi un calo delle partenze.
Questo cambio di percezione del ruolo italiano riguarda molto la Libia. Lo schieramento sottocosta delle navi militari costringe il sistema di collusione tra guardia costiera libica e scafisti a muoversi in modo meno smaccato e spregiudicato rispetto a prima. L’appoggio dato dall’Italia al governo di Fayez al Serraj – in via ufficiale, con un viaggio del ministro dell’Interno Minniti a gennaio – sta dando frutti contro ogni previsione, perché era difficile credere che Serraj sarebbe rimasto al potere così a lungo (tanto che il movimento Cinque stelle, via Angelo Tofalo, voleva promuovere a novembre 2016 a Roma una conferenza per appoggiare il rivale di Serraj a Tripoli, Khalifa Gwell, che contro il premier libico ha già tentato due golpe). L’Italia ha di fatto creato una nuova situazione sul campo, che mette in crisi la vecchia situazione.
A partire, tra le altre cose, dalle relazioni con l’Europa, a cui ora Minniti intende chiedere un impegno enorme per stabilizzare la Libia, con un contributo di tre miliardi di euro – una somma pari a quella stanziata per bloccare la rotta balcanica – più un programma per migliorare le condizioni dei centri di raccolta in Libia e un impegno con scadenza a cinque anni per investire nelle città libiche per creare un’alternativa economica al traffico di migranti. La percezione è che questa occasione sia diversa dalle altre, finché dura.