Barcellona e il mantra dell'integrazione ai tempi dell'islam radicale
"Un registro delle moschee? No". Gli attentati? "Siamo abituati". Gli iman? "Molti ci sono vicini". Parla il vicesindaco Jaume Collboni
A pochi metri dal luogo dell’attentato rivendicato dallo Stato islamico, si staglia una delle moschee, quella di Tariq Bin Ziyad, tra le più grandi di Barcellona. Il quartiere si chiama El Raval e Jaume Collboni, vicesindaco della capitale catalana, passeggia stringendo mani e salutando con cordialità vicini e negozianti. Finora il Comune, guidato dalla sindaca Ada Colau, non aveva avuto contatti con la comunità islamica. “Mi riunisco con loro, proprio qui dove la concentrazione di cittadini musulmani è più alta”, spiega. “Cerchiamo di tornare alla normalità, il nostro obiettivo è recuperare la tranquillità e rilanciare il nostro programma di convivenza”. Chissà se il gruppo di stragisti - 12 secondo l’identikit in mano ai Mossos d’Esquadra, tra i 17 e 34 anni, tutti marocchini salvo uno spagnolo di Melilla - abbia almeno una volta passeggiato in quegli stessi vicoli. “Non abbiamo mai ricevuto segnalazioni particolari né rilevato dei problemi d’intolleranza. I piani comunali d’integrazione partono innanzitutto da quelli scolastici, ma è chiaro che non possiamo controllare strumenti come internet. I giovani sono più influenzabili e facilmente suggestionabili”, dice il vicesindaco.
A maggior ragione poi se, secondo i dati della polizia catalana, la regione conta ben 80 centri salafiti. Il che significa che un luogo di culto su tre - 256 in totale secondo le cifre che dispone la Generalitat - segue una corrente che difende un’interpretazione radicale dell’islam, che vuole l’instaurazione di un ordine islamico universale. Non solo. Alcune delle principali operazioni anti-terrorismo del paese sono avvenute proprio in suolo catalano, e alcune di queste contro persone molto giovani, perfino minorenni, come i due fratelli di Badalona (Barcellona) che furono arrestati nel 2015 accusati di volere raggiungere la Siria per arruolarsi nell’Isis. Loro, per esempio, avevano solo 15 anni. “Un registro delle moschee? No, e a ogni modo non è di nostra competenza. Spetterebbe al governo regionale fare un censimento, ma noi conosciamo personalmente gli iman, molti ci sono vicini e hanno un grande ascendente sulla popolazione islamica per diffondere concetti d’integrazione e convivenza”, ripete Jaume Collboni.
Venerdì pomeriggio intanto, tra grida e lanci di uova, circa 300 cittadini musulmani e non hanno fermato una manifestazione xenofoba, composta da una cinquantina di esponenti di estrema destra che marciavano sotto lo slogan ‘Stop all’islamizzazione d’Europa’. “Non abbiamo paura. Lo abbiamo gridato anche in plaza Cataluña tutti insieme. La nostra è una città aperta, tollerante, democratica e continuerà a esserlo”, taglia corto il vicesindaco. Tanto più che, come ricorda, gli attentati non sono certo cosa nuova nel paese. “Abbiamo sofferto trent’anni di terrorismo da parte dell’ETA e purtroppo siamo abituati a questi tipi di attacchi. Riusciremo ad andare avanti anche stavolta”. L’attentato a ogni modo non sembra avere destato sorpresa nemmeno tra i corridoi del Comune catalano. “Avevamo un codice d’allerta 4 da mesi (5 è il valore più alto, ndr): Barcellona è una città conosciuta e riconosciuta, è chiaro che rientra nel mirino di azioni terroristiche così come le altre grandi capitali europee”.
Proprio per questo le raccomandazioni di Madrid erano state chiare: collocare fioriere e dissuasori negli accessi alle zone più turistiche per evitare attacchi come quelli avvenuti a Nizza o Berlino. A dirlo una nota inoltrata dal ministero degli Interni a tutte le città della Spagna. “Seguiamo le raccomandazioni dello stato, ma la città ha molte zone turistiche ed è impossibile mettere dei dissuasori, dovremmo farlo in tutta Barcellona”, si difende Collboni. “E a ogni modo lo abbiamo fatto durante alcuni eventi importanti”, aggiunge. “Al momento la nostra priorità è quella di occuparci delle vittime e delle loro famiglie, continuare a collaborare con le forze di sicurezza e garantire la convivenza tra cittadini”.
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