Ciò che non capiamo: per gli jihadisti infliggersi morte è felicità
Sbaglia lo scrittore Javier Cercas, e sono inani tutti i tentativi di spiegazione che non partono dalla Sharia
Lo scrittore Javier Cercas dice che il terrorismo deve potersi spiegare, al contrario di quanto affermato dal socialista francese-catalano Manuel Valls, per il quale non c’è spiegazione alla barbarie. Fin qui si può essere d’accordo. Ma nella razionalizzazione di Cercas c’è un limite. Lui dice che la chiave di tutto è nella passione triste della morte, che gli shahid e i loro affiliati ideologici europei coltivano con passione vera, sebbene ormai agisca anche una logica di stragismo stradale con fuga e omissione di soccorso che avvicina alla più repellente quotidianità contemporanea le gesta dei guidatori di furgoni a caccia di carne da macello nelle città. Che la conquista della morte per sé e per gli altri, non il martirio cristiano dunque, ma qualcosa di profondamente differente, sia la chiave, anche qui si può concordare. E’ la disponibilità a morire, risvolto macabro della vocazione a uccidere, che qualifica il terrorismo del nostro tempo.
Ma qui finisce l’accordo con le idee di Cercas e incomincia, secondo me, il vero tentativo di spiegazione. L’amore per la bella morte è stato il risvolto eroico, idealistico, perverso, di combattenti accaniti nella guerra civile europea del secolo scorso. La Spagna ne fu metro di misura e sintomo, come tutti sappiamo e lo scrittore Cercas in particolare, nella grande guerra di proscenio che collegò la prima alla seconda conflagrazione mondiale nel vortice dello scontro tra fascismo e comunismo. Eppure non è qui che bisogna scavare per capire. Il luogo dell’onore e del sacrificio, di una disperata e nichilistica virilità, la cosiddetta dedizione totale alla causa, non ha a che vedere con i luoghi rivelati, nel senso di Rivelazione coranica, che dettano la legge degli shahid. Sono fenomeni opposti, casomai. Nell’ideologia europea l’onore personale e la congiunzione con la morte dettano legge ai comportamenti ribelli, nell’ideologia islamica è la Legge che detta le regole di una salvezza ultraterrena in cui non ha posto l’onore del combattente, ma solo e soltanto l’osservanza, la sottomissione, l’obbedienza del credente.
Quelli che hanno cercato la bella morte, anche in Spagna, in Catalogna e altrove, erano testimoni del mondo che tramonta, il nulla dell’eroe stendeva la sua ala turbinosa sul suo gesto di autoannientamento. Per i terroristi islamici, di radice mediorientale o europea, fa lo stesso, al posto del nulla c’è il paradiso, al posto del deprezzamento della vita sta la vita eternamente fiorente di un giardino delle delizie, e mentre i primi conquistano il nulla con il nulla, i secondi si trasferiscono nel bengodi coranico autocomprendendosi come fedeli, i migliori tra i fedeli. E in questo senso aveva invece ragione Manuel Valls, c’è qualcosa di inspiegabile nelle stragi islamiste, almeno per chi non è un credente islamico. Noi siamo accecati dalla scelta degli obiettivi dei terroristi, pensiamo che ci colpiscono il 14 luglio, nei caffè della movida parigina, alle Ramblas perché vogliono punirci dei nostri peccati di orgoglio occidentale, di sensualità e ricchezza del modo di vita. Ma prima di tutto la bella morte degli shahid è un dovere religioso, è la loro liturgia primigenia, quella che deriva dalla dottrina musulmana e dalle storie del Profeta. Per questo sono vane le razionalizzazioni storiche e ideologiche, come quella di Cercas, e sono inani tutti i tentativi di spiegazione che non partono dalla Sharia.