La caduta del consigliori dalle macabre passioni
Steve Bannon non ha capito che per gli americani la parola popolo ha un suono costituzionale, non allude alla loro manipolazione creativa da parte dell’ultimo arrivato dalla fogna di Breitbart News
Bannon, conosco il tipo. Il tipo d’uomo, dico. Il consigliori politico che viene da mille frustrazioni e successi, tutto mischiato, tutto confuso nell’indistinto della personalità disturbata, radici fragili socialmente, ansia di riscatto nell’avventura del potere. Quelli come lui hanno idee ingarbugliate, malferme, spesso genericamente eccentriche e intercambiabili, sono piccole start up impegnate nella fabbricazione di miti, operano a stretto contatto con un capo psicologicamente disturbato, preferibilmente, e adorano il fumus, lo zolfo, affettano di possedere una piattaforma rivoluzionaria come vocazione da adempiere, adorano il gioco pericoloso delle cause perse, la parabola malferma, e fingono l’ennesima identità di lunghe e tortuose carriere tra soldi e media senza averne di loro, che gli sia propria, alcuna.
Quelli come Bannon non sono faccendieri, uomini del presidente, non hanno la mitezza e le virtù diplomatiche del cosiddetto facilitatore, sono carogne, giocano sempre e solo per sé e per il loro clan, detestano chiunque si avvicini al sole del potere elettivo al di fuori della combriccola di loro pertinenza. Si insediano alla Casa Bianca dicendo che il loro programma è distruggere lo stato, sono sfacciati. Mescolano Julius Evola, poverini, e Goldman Sachs. Infinocchiano alti prelati tradizionalisti perché credono che vi sia un gioco da superesperti in Vaticano, e che il tradizionalismo dell’ombra sia un viatico speciale per il loro senso dell’azzardo. Hanno una nozione elementare di popolo, che è una variante potente del loro Ego debolissimo, vanno dietro alle pulsioni più animalesche della folla e credono di essere alla guida di un qualche rivolgimento d’epoca.
La loro capacità manipolativa è decisamente sopravvalutata. Rasputin il principe Yusupov ha dovuto riempirlo di veleno e di coltellate, per poi gettarlo nella Neva a San Pietroburgo ancora vivo, la storia di quelli come Steve Bannon finisce con un comunicato che prende atto di un insieme di pulsioni gelose, di un tentativo, destinato al fallimento, di normalizzazione della follia, che tratta il consigliori come un ingombro.
La presidenza Trump, e la sua campagna elettorale, erano il teatro facile per gli egotismi del consigliori. L’impostore può fare qualsiasi cosa, è una barca esposta a tutti i venti, ha i New York values del cosmopolitismo, del successo e dell’intrigo finanziario, per Bannon mettersi contro i Gary Cohn, e per soprammercato contro i Kelly, i Mattis, i McMaster e la famiglia del riccone fattosi all’ombra del real estate era il tipico gioco pericoloso di chi disprezza il suo capo, ne conosce il narcisismo puerile ma non la disponibilità a tutte le soluzioni purché utili in breve giro di giorni, compreso il suo licenziamento. Gli ha scritto lo squallido discorso d’inaugurazione, e si vedeva, le parole erano oltre lo stesso “apprentice”, si caricavano di una macabra passione triste, quella di vendicare un inesistente american carnage, cercavano di ancorare una antica istituzione costituzionale a una retorica sprezzante e demagogica di cambiamento in nome del popolo. Bannon non ha capito una cosa elementare, che “we, the people” è un forma collettiva di responsabilità verso Dio e verso la comunità, per gli americani la parola popolo ha un suono indiscutibilmente costituzionale, allude a un bilanciamento di poteri, non alla loro manipolazione creativa da parte dell’ultimo creativo del linguaggio politico arrivato sul campo dalla fogna di Breitbart News.