Recep Tayyip Erdogan e Angela Merkel (foto LaPresse)

Nello scontro sempre più duro con la Germania sarà Erdogan a farsi male

Francesco Maselli

Il nazionalismo è una componente recente nel consenso di cui gode Erdogan, che invece poggia sulla grande crescita economica degli anni Duemila. Una restrizione degli investimenti danneggerebbe non poco Ankara

Roma.“I politici tedeschi sono i nostri nemici”. Sta tutta in questa dichiarazione di Recep Tayyip Erdogan la crisi diplomatica che da mesi contrappone Germania e Turchia. L’attacco del presidente turco della settimana scorsa è infatti solo l’ultima delle reciproche provocazioni cominciate dopo il tentato golpe del 14 luglio 2016. La Turchia ha chiesto alla Germania, senza ottenerla, l’estradizione di oltre 400 cittadini turchi sospettati di aver partecipato al colpo di stato; la Germania, dal canto suo, attende ancora di ricevere spiegazioni per l’arresto di dieci cittadini tedeschi, tra cui il giornalista Deniz Yucel, accusati dalla Turchia di essere delle spie legate ai golpisti. Le reciproche ritorsioni non finiscono qui: a marzo la Germania ha negato l’accesso sul suo territorio ai politici turchi impegnati nella campagna referendaria; la Turchia ha impedito la visita alla base Nato di Incirlik da parte di una delegazione di politici tedeschi, salvo concederla per settembre dopo settimane di lunghe trattative. Sabato scorso l’Interpol, su mandato turco, ha arrestato lo scrittore turco-tedesco Dogan Akhanli, poi rilasciato, mentre si trovava in Spagna, provocando la reazione irritata di Angela Merkel: “Non si abusa in questo modo dell’Interpol”, ha dichiarato a Rtl. I toni della cancelliera non sono nuovi: il mese scorso, il ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, aveva chiesto che la procedura di pre-accettazione della Turchia nell’Unione europea fosse rivista, visto che le politiche di Erdogan sono “in flagrante contraddizione con il nostro sistema europeo di valori”.

  

L’atteggiamento della diplomazia tedesca, solitamente poco incline a scontri, è stato letto da alcuni analisti come un ulteriore indizio della nuova politica estera della Germania. Secondo Mark Leonard, dello European Council on Foreign Relations, il paese sta concludendo il percorso di normalizzazione iniziato nel 1989, libero dal complesso di dover continuamente “rassicurare i partner internazionali su quali sono le sue intenzioni”. Per questo lo scontro con la Turchia è esemplare. Probabilmente, scrive Leonard, Erdogan non si aspettava una reazione così violenta: in Germania vivono circa 3 milioni di turchi, metà con diritto di voto, uno strumento di pressione non indifferente; ma in questa fase le leve economiche su cui può fare affidamento la Germania sono di gran lunga più influenti, e a Berlino mostrano di esserne consapevoli.

  

Valeria Giannotta, direttrice del Centro italiano per la pace in medio oriente che per anni ha insegnato all’Università di Ankara, spiega al Foglio che la Turchia ha molto da perdere in uno scontro economico con i tedeschi: “L’economia turca si basa sugli investimenti diretti esteri, e il primo partner è la Germania. Non sarebbe facile di punto in bianco recidere i legami tra le due economie, ma una graduale restrizione degli investimenti danneggerebbe non poco Ankara. Lo sta già facendo”. E allora perché Erdogan ha deciso di andare allo scontro? “Lo scontro è a uso interno, e fa parte della retorica nazionalista del presidente. Il nazionalismo è però una componente più recente e meno importante nel consenso di cui gode Erdogan, che invece poggia sulla grande crescita economica degli anni Duemila. Da solo non basta, ed è rischioso”.

  

 

Inoltre, continua Giannotta, lo scontro tra i due paesi non rappresenta una novità: “La Germania ha sempre tenuto una posizione poco aperta nei confronti della Turchia, probabilmente per bilanciare la grande presenza turca nel paese. Sono stati i tedeschi a rallentare il processo di integrazione europea della Turchia, così come sono i tedeschi i meno propensi a concedere la liberalizzazione dei visti ai turchi. La Turchia si sente frustrata e non compresa dagli europei: le trattative sull’adesione all’Unione europea sono sempre state ambigue e forse strumentali per entrambe le parti, ma hanno contribuito al deterioramento dei rapporti”.

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