La tregua tra Madrid e la Barcellona è durata nemmeno 72 ore
A poche ore dalla strage, le alte cariche spagnole, come di dovere, si sono precipitate in Catalogna, ma la tensione tra lo stato e il governo centrale sono nuovamente venute a galla
Nemmeno 72 ore. Il cordoglio unanime per le vittime dell’attentato di Barcellona è durato poco più dello scatto della storica foto: in posa il re Felipe IV, il premier iberico Mariano Rajoy, il presidente della Catalogna Carles Puidgemont. Un terzetto del genere gli spagnoli non l’avevano mai visto. A poche ore dalla strage, le alte cariche di Madrid, come di dovere, si sono precipitate a Barcellona. Rajoy ha stretto la mano a Puidgemont con tanta foga che per un attimo qualcuno ci aveva creduto: la jihad ha messo fine agli annosi dissapori tra le due città. D’altronde cooperazione e unità sono state le parole che più hanno risuonato, nei giorni successivi. Per un attimo il nemico è diventato comune. E anche l’affermazione del governatore catalano - “il procedimento per l’indipendentismo non subirà variazione” – è passato quasi sottotono. Almeno fin quando il conseller dell’Interno della Generalitat Joacquim Forn spiegava in tv che nell’attentato erano morte “due persone catalane e due di nazionalità spagnola”. Toccata e fuga.
La questione dell’appartenenza ritorna ancora nella già mediatica conferenza stampa tenuta da Josep Lluís Trapero, capo integerrimo dei Mossos d’Esquadra, poche ore prima che l’autore della strage fosse ucciso. In una sala gremita, Trapero parla in catalano. Un cronista chiede di parlare in spagnolo. Poi, inascoltato, abbandona la sala e Trapero lo saluta con un ispanocatalognolo “arrivederci”, diventato subito trend topic. Gli indipendentisti cavalcano l’onda, pensando che il giornalista sia uno di quei cattivoni spagnoli. Invece è un corrispondente olandese, che da ore riceve insulti su twitter.
“Sono incomprensioni a volte futili che mostrano come ci sia una tensione di fondo”, spiega al Foglio Pablo Simón, politologo e membro del think thank Politikon. “Al momento la lite tra le amministrazioni di Madrid e Barcellona è rimasta in sordina ma la tentazione è di utilizzare il momentum per la propria agenda politica”. Insomma “c’è un clima di calma apparente, ma la rottura sta per arrivare”, dice il professore di Scienze politiche all’Università catalana Pompeu Fabra.
La corda potrebbe spezzarsi proprio nel giorno che si prefigge di celebrare l’unità: sabato una grande manifestazione per le vittime dell’attentato inonderà le vie di Barcellona. A volerla fortemente la stessa sindaca Ada Colau sotto il lemma del no tinc por (non ho paura). Eppure a Madrid qualcuno si è già lamentato di non aver ricevuto l’invito, mentre in Catalogna altri esponenti politici, come i repubblicani di ERC o gli anticapitalisti della CUP, hanno tutta l’intenzione di disertare, se la famiglia reale dovesse confermare la sua presenza.
Come se non bastasse, a litigare ci si è messo anche il corpo di polizia. Mentre i Mossos d’Esquadra vengono decorati con una medaglia al valore dal Parlamento catalano, i sindacati della polizia nazionale e della Guardia Civil inviano una nota alle istituzioni che racconta come non solo è stato loro vietato di fare accertamenti nell’abitazione di Alcanar esplosa, ma anche di partecipare all’indagine in corso. Difficile sapere se, legalmente, la competenza in queste circostanze sia dell’una o dell’altra forza, o se, in un evento di questa portata, la cooperazione sarebbe la migliore soluzione. Tanto più che da inizio anno la maggior parte degli interventi legati al terrorismo in Catalogna sono stati portati a termine proprio dalla polizia nazionale. Non c’è dubbio però che il governo di Puigdemont, plaudendo in pompa magna il lavoro svolto dai Mossos, ha voluto mandare a Madrid un chiaro messaggio di autosufficienza. “Ci sono molti passaggi poco chiari: bisogna capire soprattutto se nel periodo intercorso tra l’esplosione della casa e l’attentato della Ramblas si siano fatte le giuste verifiche o se qualcosa è stato trascurato. Di certo nei prossimi giorni la tentazione sarà quella di rinfacciare i possibili errori dei rispettivi corpi di polizia. Un proiettile in più, e già in canna, in vista del referendum dell’1 ottobre”, afferma il politologo. Il rischio, infatti, è che l’attentato si converta presto in una carta da giocare nell’imminente campagna elettorale catalana.