Francoforte si ribella al boicottaggio antisemita e Berlino no?
Un profugo siriano accolto nel 2014 e diventato rapper guida la carica contro un festiva della cultura pop. Slogan similnazisti
Berlino. Non ha fatto in tempo a iniziare che sono cominciate le defezioni: prima quella del rapper siriano Abu Hajar, poi quelle di altre band dal mondo arabo, fino a quella della tedesca Annie Goh. Il Pop-Kultur Festival di Berlino, kermesse dedicata alla musica del mondo, è partito azzoppato dopo che alcuni partecipanti hanno scoperto che fra i finanziatori dell’evento c’è anche l’ambasciata di Israele a Berlino. Apriti cielo: soldi dai sionisti non ne vogliamo, hanno tuonato gli artisti epigoni del Bds, riaggiornando il motto nazista “Kauf nicht bei Juden!” (non comprare dagli ebrei) in un più musicale “Spielt nicht bei Juden!” (non suonare dagli ebrei). Non contenti di non partecipare, gli artisti antisionisti hanno anche esercitato pressioni sui loro colleghi meno avvelenati invitandoli a restare a casa. Fra le prime vittime, ovviamente, la cantante israeliana Riff Cohen che è stata definita “rappresentante dell’oppressore sionista”.
Non è la prima volta che il movimento per il disinvestimento e il boicottaggio di tutto ciò che è associato a Israele colpisce in Germania. A giugno il Bds aveva impedito a una deputata dell’opposizione israeliana e a un’anziana sopravvissuta allo sterminio di parlare all’Università Humboldt della capitale. Questa volta tuttavia la comunità ebraica tedesca non è rimasta a guardare. Su Jüdische Allgemeine, il mensile pubblicato dal Consiglio centrale degli ebrei di Germania (Zentralrat der Juden), è apparsa una tirata d’orecchi a Michael Müller, borgomastro berlinese alla guida di una coalizione rosso-rosso-verde. Nonostante il boicottaggio abbia danneggiato il festival e la capitale, il sindaco ha taciuto. Solo l’assessore alla Cultura ha definito l’operazione del Bds “disgustosa”. Un passo notevole per un politico della Linke, il partito social-comunista erede politico dell’ancien régime della Ddr, ha osservato l’editorialista Philipp Peyman Engel. Lo stesso ha tuttavia ricordato che altri sindaci hanno respinto il Bds e messo alla porta le sue attività definendole “antisemite”. Così ha fatto in queste ore Francoforte, il cui sindaco Uwe Becker (della Cdu) ha messo in agenda un voto contro le azioni del Bds che “attacca alla base la legittimazione dello stato ebraico e prende la scorciatoia dell’antisionismo per diffondere l’odio antiebraico”. Memore delle responsabilità storiche della Germania verso il popolo ebraico, “forte di un’amicizia con Israele che dura da 37 anni e impegnata per una composizione pacifica del conflitto israelo-palestinese”, Francoforte, ha ricordato Uwe, si accinge a boicottare il Bds, i cui slogan “ricordano troppo con quelli dei nazionalsocialisti”. Una mozione analoga è in agenda anche a Monaco.
E a Berlino? Engel ricorda al Foglio che l’Spd di Müller ha votato un documento contro il Bds: al sindaco la copertura politica non mancherebbe. Da quell’orecchio, tuttavia, Müller non ci sente. A marzo il borgomastro ha partecipato a una cerimonia che, nata per ricordare le vittime della strage jihadista dello scorso dicembre (quando un tir piombò sullo shopping natalizio dei berlinesi), è finita in mano a tre organizzazioni islamiche controllate dai servizi tedeschi per presunti legami con il terrorismo. Allora il Zentralrat pregò Müller di non legittimare gli organizzatori vicini a Hamas e a Hezbollah, ma il sindaco non ascoltò. Ancora a giugno Berlino ha permesso che la marcia antiisraeliana “per la liberazione di Gerusalemme dai sionisti”, inventata dall’ayatollah Khomeini, si svolgesse nel centro cittadino. “Un abuso intollerabile della libertà di espressione”, per Engel. Non la pensa così il rapper Abu Hajar. Accolto dalla Germania come profugo nel 2014, Hajar ha detto che con le responsabilità storiche dei tedeschi lui non ha “nulla a che fare”. Una dichiarazione inquietante alla luce dell’accoglienza concessa fra il 2015 e il 2016 dalla Germania moderna e formalmente denazificata a un milione di profughi in maggioranza siriani, iracheni e afghani.