Harvey torna a colpire Houston e mette alla prova la tenuta di Trump
Cappellino patriottico, decisionismo e postura da commander in chief per far fronte a una devastazione “senza precedenti”
New York. Harvey, la gigantesca tempesta tropicale che nel fine settimana si è abbattuta sulle coste americane del Golfo del Messico, ha soltanto rallentato leggermente la sua opera di devastazione, ma diciotto contee del Texas sono ancora in stato d’emergenza, Houston è sott’acqua, i maggiori aeroporti dello stato sono per il momento chiusi e ieri la Casa Bianca ha esteso l’emergenza anche alla confinante Louisiana. Tecnicamente la tempesta si è allontanata dalle coste texane, dando qualche ora di sollievo, salvo poi ritornare sui suoi passi, abbattandosi di nuovo sulla città già alluvionata. La Fema, l’agenzia federale per la risposta alle emergenze, ha parlato di un “evento senza precedenti” in cui “l’impatto totale è sconosciuto” e “oltre qualsiasi altra cosa che abbiamo sperimentato”, e l’epicentro della catastrofe d’acqua è una città che per via della sua collocazione geografica, per la conformazione perfettamente pianeggiante del suo territorio e per il delicato sistema di dighe e chiuse che regolano le risorse idriche circostanti è abituata ai fenomeni alluvionali. Harvey però non è una tempesta qualunque.
Domenica mattina decine di migliaia di persone si sono svegliate con le case allagate, il 911 è stato bersagliato di chiamate fino a sovraccaricare le linee e oltre mille salvataggi sono stati eseguiti soltanto nella primissime ore della giornata. Ora il 50 per cento degli edifici della città a rischio allagamento è al di fuori delle zone designate per le emergenze, segno che la tempesta ha oltrepassato qualunque capacità di pianificazione. La pioggia continuerà anche questa settimana – i bollettini dicono almeno cinque giorni – in molte aree della vastissima regione interessata, e i soccorritori prevedono aggiornamenti negativi su un bilancio parziale che fino a questo momento parla di cinque morti, centinaia di feriti e di un numero ancora incalcolabile di sfollati. E’ inevitabile, in questi casi, che di fronte a effetti tanto devastanti riemergano scrupoli e polemiche intorno a quello che forse si sarebbe potuto fare e non è stato fatto per minimizzare l’impatto. Perché Houston non è stata evacuata quando, con diversi giorni d’anticipo, i meteorologi hanno confermato che l’impatto di Harvey sarebbe stato enorme? Ieri il sindaco della città, Sylvester Turner, lo ha spiegato durante uno degli aggiornamenti sulla situazione: “Non puoi mettere sulla strada 6 milioni e mezzo di persone. Se pensate che la situazione così com’è adesso sia brutta, con un ordine di evacuazione sarebbe stata un incubo”.
Harvey è il primo test sulla gestione delle emergenze domestiche per Donald Trump. L’uragano Katrina, nel 2005, ha fissato un precedente indelebile per quanto riguarda i costi politici di un disastro naturale e, a conti fatti, la gestione di Katrina ha contribuito al declino finale della popolarità di George W. Bush quanto la guerra al terrore. Alla Casa Bianca lo sanno bene. Dall’inizio delle piogge torrenziali, Trump manda messaggi e rilascia dichiarazioni per mostrare inflessibilità e decisionismo nell’offrire risorse e mostrare solidarietà con le popolazioni colpite. La Casa Bianca ha pubblicato una foto del presidente con un cappellino rosso con la scritta “Usa” – articolo patriottico proveniente dal catalogo del merchandise della campagna – mentre dalla residenza di Camp David guida una videoconferenza con i soccorritori e le autorità coinvolte.
In una serie di tweet cinguettati in rapida sequenza domenica, il presidente ha elogiato i soccorritori e tutti i civili che in queste ore si stanno producendo in commoventi sforzi di solidarietà per salvare e accogliere gli innumerevoli prigionieri di una metropoli bloccata. Non ha mancato di ricordare che diversi esperti giudicano Harvey anche peggiore di Katrina, afferrando facilmente che le proporzioni inusitate, bibliche dell’evento sono la migliore giustificazione di fronte a eventuali critiche: “Molte persone ora dicono che questo è il peggiore uragano che abbiano mai visto. La buona notizia è che abbiamo tanto talento sul campo”, ha scritto. La soglia di attenzione del presidente è notoriamente breve, e nel giro di qualche tweet è passato a parlare della prossima visita in Missouri e dei negoziati sul Nafta, il trattato commerciale con Canada e Messico, ma l’entourage dalla Casa Bianca dice che il presidente sta monitorando la situazione attentamente e ha chiesto immediatamente di fare visita nella zona. Il timore di intralciare i soccorsi con un viaggio presidenziale in piena emergenza, una manovra potenzialmente disastrosa anche per l’immagine – un’altra lezione di Katrina – ha convinto il presidente a rimandare, e a meno di cambi di programma dell’ultima ora Trump e la first lady dovrebbero arrivare oggi in Texas. Il maggior sostenitore della gestione trumpiana della prima fase del disastro è il governatore del Texas, Greg Abbott, prodigo di elogi sugli aiuti federali nei soccorsi tempestivamente autorizzati dalla Casa Bianca. Abbott è una delle figure nevralgiche nello stanziamento delle forze necessaria a far fronte all’emergenza: “Devo dare alla Fema il voto A+, a partire dal presidente e fino all’ultimo soccorritore. Ho parlato con il presidente diverse volte, spesso anche con vari membri del governo, dal segretario per la Sicurezza nazionale fino a Tom Price, il segretario della Salute, e devo dire che tutti sono stati incredibilmente d’aiuto”.
Il clima di collaborazione e unità che si è creato per rispondere alla catastrofe è una rarità in un’Amministrazione che va avanti, zoppicando, a forza di litigi, pugnalate, congiure e regolamenti di conti. Perciò i più cinici dicono che Trump è deciso a non lasciarsi sfuggire questa emergenza, e la sua postura da uomo d’ordine che giorno e notte veglia sulle operazioni di soccorso risponde anche all’esigenza non trascurabile della capitalizzazione politica: “Ama vestire questi panni anche se non ha mai gestito nulla di simile. Sa come dovrebbe apparire un presidente in queste circostanze”, ha detto un consigliere della Casa Bianca a Politico.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank