Il monopolista Google epura il think tank che lo accusa di monopolio
La cacciata esemplare di Barry Lynn dalla New America Foundation
New York. Barry Lynn ha lavorato per quindici anni alla New America Foundation, e per quattordici anni non ha avuto alcun problema. Dirigeva la sezione Open Markets, che si occupa di competizione e monopoli, in uno dei think tank più vivaci di Washington, che si fregia di essere un luogo di opinioni eterogenee immerso in una capitale sempre più polarizzata e partigiana. Le cose sono rapidamente precipitate quando Lynn ha iniziato a dare voce alla sua convinzione che Google agisca come un monopolio, e assieme agli altri colossi della Silicon Valley formi un gigantesco cartello di potere che nega nei fatti i principi di libertà che predica a parole. Il fatto è che la New America Foundation si regge sui fondi di Google e sulle donazioni personali del suo chairman, Eric Schmidt, al quale è intitolato l’auditorium della fondazione. Dal 1999 l’azienda di Mountain View ha versato 21 miliardi di dollari nelle casse della New America Foundation, e naturalmente ha sempre negato di avere qualunque influenza sulle ricerche di un think tank che agisce in modo indipendente dagli investitori. La situazione è precipitata quando, a giugno, la Commissione europea ha comminato una multa da quasi due miliardi e mezzo di euro a Google per aver danneggiato la competizione nel mercato degli acquisti online, la misura più grave mai presa in un caso del genere. Lynn ha subito pubblicato un commento favorevole sul sito della New America Foundation. Non soltanto elogiava le decisione europea, ma invitava i regolatori americani a seguire il loro esempio. L’articolo è stato rimosso dal sito, salvo poi misteriosamente ricomparire qualche ora più tardi. Dicono che in quel lasso di tempo Schmidt si sia imbestialito e abbia chiesto alla dirigenza del think tank la testa di Lynn e del suo programma, minacciando di chiudere i rubinetti se non fosse stata eseguita l’operazine.
Si è subito innescato un tesissimo scambio di mail con il presidente del centro studi, Anne-Marie Slaughter, che si premurava di sottolineare come il disaccordo fra loro prescindesse totalmente dal ruolo di Google. Se erano arrivati ai ferri corti era per tutt’altri motivi, per tutt’altre storie. Quando mercoledì alcuni stralci di quella corrispondenza sono finiti in un articolo del New York Times che racconta delle pressioni dell’azienda, Lynn è stato licenziato e il suo team lasciato a spasso, in cerca di una nuova casa. Slaughter, com’è ovvio, continua a negare tutto. Dice che l’articolo del Times è falso e in una nota ufficiale spiega che Lynn non è stato licenziato per quella presa di posizione: a determinare la cacciata sono stati i suoi “ripetuti rifiuti di aderire agli standard di trasparenza e collegialità istituzionale della New America Foundation”. Formula sibillina che non rivela la natura del peccato di Lynn. Non era la prima volta che i due avevano uno scontro sulla “collegialità istituzionale” che poi si rivelava legato a doppio filo a Google. La sezione Open Marketslo scorso anno ha organizzato una conferenza con la senatrice Elizabeth Warren, spauracchio dell’establishment e nemica giurata di monopoli, oligopoli, cartelli e opprimenti agglomerati di potere. Google non ha preso bene la sua presenza, e Slaughter pochi giorni prima del convegno gli ha intimato di passargli tutto il materiale in modo che gli investitori potessero essere in grado di rispondere. Il tema dei finanziamenti appare immediatamente: “Abbiamo lavorato sodo per trovarti i fondi all’ultimo minuto, pensa per un attimo al fatto che stai mettendo in pericolo i finanziamenti anche per altri”. Forse è questo il vero significato della “collegialità istituzionale”.
L’interessato, dal canto suo, non ha dubbi sulla ragione della cacciata: “Ogni giorno vedo gente che si rende conto del potere di Google, Facebook e Amazon. Dobbiamo fare qualcosa attraverso i nostri governo per contrastare il potere di queste aziende”, ha spiegato al Guardian. Se quello di The New America Foundation fosse un caso isolato non ci sarebbe poi molto di grave. Si tratterebbe di una istituzione finanziata da un’azienda che, come accade, si aspetta un trattamento di riguardo. Il problema è che “Google è molto aggressiva nel distribuire soldi a Washington e Bruxelles, e poi vuole tenere le redini”, dice Lynn. Un’inchiesta del Wall Street Journal spiega che l’azienda ha commissionato e lautamente finanziato centinaia di paper in cui accademici spiegano che Google non gode di una posizione dominante nel mercato. Questo è l’obiettivo: spiegare al mondo che non è un monopolio. Poi, di tanto in tanto, s’incappa in un episodio che dimostra esattamente il contrario.
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