L'ultimo incontro, ad agosto, tra Usa e Cina sulla crisi missilistica con la Corea del Nord. LaPresse/Reuters

Tra petrolio e tessile, la Cina ha le armi economiche per schiacciare Pyongyang. Ma punta a non usarle

Paola Peduzzi

Le minacce commerciali di Trump risultano “inaccettabili”, Pechino vuole che la strategia con la Corea del nord cambi il meno possibile. La questione dell’embargo e le sanzioni dell’Onu

Milano. Donald Trump, presidente americano, sta valutando ogni opzione per reagire all’ultimo test all’idrogeno della Corea del nord (un attacco militare? “We’ll see”), e dice che allo studio c’è anche la possibilità di rivedere i rapporti diplomatici con gli stati che continuano a fare affari con Pyongyang. L’elenco non è corto (comprende, secondo la Korea’s Trade Investment Promotion Agency, ottanta paesi, per un totale di commerci nel 2016 pari a 6,5 miliardi di dollari), ma il messaggio trumpiano è rivolto principalmente alla Cina che da sola vale il 90 per cento di tutto il commercio estero della Corea del nord. “Inaccettabile”, ha detto Pechino commentando la minaccia della Casa Bianca, ma le richieste di un cambio di passo della Cina nei confronti del suo indomabile vicino sono sempre più pressanti, per di più che gli esperti non esitano a ricordare che il presidente cinese, Xi Jinping, non ama affatto il dittatore nordcoreano Kim Jong-un: “Mai sentite parole più sprezzanti rivolte a un leader straniero”, conferma un ex diplomatico al Financial Times.

   

Se il mondo si reggesse sulle simpatie personali ci sarebbe forse ancor più da preoccuparsi: il calcolo cinese è ben più complesso e freddo. La guerra di Corea è un ricordo che nella generazione di Xi ha molto valore, fu una carneficina per i cinesi e determinò un’ondata di rifugiati enorme: per i più giovani l’insofferenza invece è palpabile, Kim viene dileggiato a suon di nomignoli, e il timore che le radiazioni di questi continui test nucleari lambisca il territorio cinese è alto. Ma appunto, il calcolo è freddo, e Xi risponde a questo affronto nordcoreano – nel bel mezzo del vertice dei Brics che sta ospitando, e a poco più di un mese dal Congresso di partito che deve consacrare Xi: la tv di stato sta trasmettendo una serie di sei puntate sulla sofisticata arte diplomatica del presidente, per dire – con il massimo della cautela. Riuscirà a fare quello che molti osservatori si aspettano, cioè nulla? Pare questa infatti la volontà di Pechino, come ha spiegato il direttore del Global Times, Hu Xijin, considerato un portavoce non ufficiale del governo: siamo tutti furiosi con Pyongyang, sostiene Hu, ma una reazione dura, l’embargo petrolifero totale in particolare, cui punta anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, finirebbe per scatenare la Corea del nord contro la Cina. Xi deve badare all’interesse nazionale, China first, conclude il direttore ciarliero, e quindi pur furioso com’è non dovrebbe dare il proprio consenso a sanzioni che prevedono un embargo totale e una probabile implosione del regime nordcoreano. Soltanto qualche mese fa, il Global Times era ben più aperto all’ipotesi di un taglio delle forniture di greggio alla Corea del nord, ma ora le priorità sono diverse: c’è il Congresso del 19 ottobre da preparare senza troppi scossoni, e c’è l’incubo che un eventuale collasso di Pyongyang porti a una riunificazione della Corea sotto la guida di Seul e di Washington. Al confronto, gli esperimenti nucleari di Kim Jong-un appaiono a Pechino molto meno minacciosi.

  

Sull’efficacia delle sanzioni contro i regimi la comunità internazionale si contorce da decenni, ma per la Cina le misure economiche valgono per lo più come punizione che come strumento per riportare un paese sulla via del dialogo e del negoziato. Per di più non è dato sapere con certezza quanto greggio Pechino dà a Pyongyang: da qualche anno, la Cina non inserisce più questo dato nei suoi tabulati ufficiali. Come ha scritto l’analista Kent Boydston sul suo blog, “il petrolio può essere un modo per schiacciare o sostenere il regime nordcoreano, senza che alcun paese straniero sia in grado di verificare che cosa la Cina sta facendo”. Questa mancanza di trasparenza fa anche sorgere più di un dubbio sull’impegno cinese nell’applicare le sanzioni già in essere contro la Corea del nord – l’ultimo pacchetto è stato approvato all’Onu all’inizio di agosto – ma allo stesso tempo conferma quel che molti, esperti e diplomatici, dicono: la Cina è l’unico paese con un potere concreto di determinare la tenuta del regime di Pyongyang.

   

Gli altri due settori che ancora sono esclusi dalle sanzioni internazionali e che producono per l’export verso la Cina sono il tessile e l’abbigliamento. Secondo uno studio recente della Reuters sul confine tra Cina e Corea del nord, molte aziende cinesi si appoggiano su piccole imprese nordcoreane per produrre tessuti e vestiti che poi vengono venduti nel resto del mondo come “Made in China”. Anche in questo caso è difficile quantificare questo indotto commerciale: secondo alcuni dati anzi il settore tessile nordcoreano è quasi imploso nel corso dell’ultimo anno, ma anche in questo caso il patrocinio cinese farebbe la differenza sull’eventuale ripresa.

    

L’ultima area di intervento riguarda quello finanziario, visto che già alcune banche cinesi (e russe) sono state sanzionate dal dipartimento del Tesoro americano per aver violato le sanzioni vigenti nei confronti della Corea del nord. Ce ne sarebbero molte altre, sostengono molti, ma permane il timore di una rappresaglia cinese nei confronti delle imprese americane. Pechino non vuole che un cambiamento dell’equilibrio nordcoreano apra la strada a una maggiore influenza americana nella regione, ma allo stesso tempo l’America non può permettersi una guerra commerciale pesante con la Cina, che è il suo primo partner commerciale. Lo scorso anno, gli Sttai Uniti hanno acquistato prodotti dalla Cina per un valore di 450 miliardi di dollari, e hanno esportato beni per 115 miliardi. Restando su questa via stretta di furia e di impotenza, Xi spera di non dover far nulla contro Pyongyang, almeno per ora.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi