L'orrore della soglia atomica
La Corea del nord è megalomane nei modi, ma non ha una visione grandiosa e imperiale come gli altri paesi che hanno tentato di entrare (con le stesse risorse di Kim) nel club delle potenze nucleari, dalla Libia di Gheddafi alla Siria all’Iran
Negli ultimi due mesi la Corea del nord ha dato una brusca accelerazione al suo programma nucleare. Il 4 luglio ha annunciato di avere lanciato un missile balistico intercontinentale “capace di raggiungere qualsiasi punto del pianeta”, che è un’esagerazione ma non troppo: si tratta comunque di un vettore che può arrivare fino alla costa est americana, al Giappone e ovviamente alla Corea del sud. Il 3 settembre ha fatto esplodere un ordigno nucleare molto più potente di quelli usati nei cinque test precedenti. Se si mettono assieme il vettore e la testata atomica, si ottiene la crisi di questi giorni: la Corea del nord è il primo regime a varcare con successo la soglia del club dell’armamento nucleare negli ultimi vent’anni, dopo il Pakistan che l’ha fatto nel 1998. Molti regimi avevano tentato di superare quella soglia ed erano stati bloccati in tempo. Nel giugno 1981 l’aviazione israeliana distrusse il reattore nucleare di classe “Osiris” che Saddam Hussein stava costruendo vicino Baghdad assieme ai francesi – come rivela quella k finale, così francese, nel nome del progetto: Osirak. Nel dicembre 2003 America e Gran Bretagna assieme riuscirono a costringere il dittatore libico Gheddafi ad annunciare la fine del suo programma di armamento nucleare clandestino, che la Libia stava portando avanti andando a cercare pezzi e tecnici sul mercato nero, per esempio in Svizzera. Nel settembre 2007 di nuovo l’aviazione israeliana distrusse un reattore nucleare che la Siria stava costruendo, anche con l’aiuto di tecnici nordcoreani, nel deserto vicino Deir Ezzor. Il governo del presidente Bashar el Assad negò a lungo (che sorpresa, vero?) che quello fosse un sito nucleare fino a quando gli ispettori delle Nazioni Unite trovarono che in effetti era stato un sito nucleare. Infine, nel luglio 2015 l’Amministrazione Obama ha ottenuto dal governo dell’Iran un accordo che sospende il programma nucleare in cambio della fine delle sanzioni internazionali. E’ un accordo che però è molto criticato perché secondo alcuni osservatori è stato violato (per esempio l’Iran continua a fare test con i missili balistici – che possono essere vettori di testate atomiche – e nega agli ispettori internazionali l’accesso ai siti militari, il che vanifica il concetto stesso di “ispezioni”). Altre critiche puntano invece sul fatto che, per ottenere quell’accordo, l’Amministrazione Obama è passata sopra ad altre situazioni che invece erano più importanti, come la crisi in Siria, ma ormai questo è il punto in cui siamo.
Perché la Corea del nord è un ammonimento così importante sul rischio della proliferazione? Uno dei motivi è la visione modesta del regime. La Corea per ora non sta lavorando a un programma atomico in chiave offensiva. Non vuole attaccare e invadere il Giappone oppure il nemico americano, per ora – per ora sottolineato – la sua visione è l’autoconservazione, preservarsi come paese museo del comunismo asiatico e prolungare la dinastia dei Kim. Il New York Times quattro giorni fa ha pubblicato una lunga analisi per capire se la Corea per esempio volesse conquistare altro territorio, ma la conclusione è che poi dovrebbe anche occuparlo e controllarlo e non sarebbe un compito facile per una nazione che soffre letteralmente la fame. Lo stesso non si può dire degli altri governi che avevano sottomano le stesse risorse e le stesse conoscenze dei coreani – in molti casi anche maggiori – e però hanno fallito. Tutti gli aspiranti membri del club atomico coltivavano visioni imperiali da far sembrare Kim un novizio timido. In questo caso siamo fortunati che soltanto la Corea sia riuscita dove gli altri hanno per ora fallito: è il più marginale dei pretendenti. Gheddafi sognava di diventare il rivale nucleare di Israele e coltivava una visione grandiosa e panafricana, con se stesso al centro come leader della nuova Africa. Se è finito a lottare per la sopravvivenza in un canale di scolo di Sirte è anche perché il suo programma di armamento clandestino era stato troncato otto anni prima. Saddam Hussein in Iraq aveva piani di dominio megalomani sulla regione, che sono passati in effetti per lo sterminio dei curdi a nord a fine anni Ottanta e l’invasione del Kuwait a sud nel 1991, e provò a realizzarli sul serio – ma almeno senza più impianti nucleari a disposizione. La Siria e l’Iran sono alleati storici – oggi Damasco è in posizione debitoria verso gli iraniani, perché deve loro la sopravvivenza durante la guerra civile – e seguono fin dal 1979 lo stesso disegno: diventare egemoni nella regione mediorientale e oltre, e nel caso dell’Iran esportare la rivoluzione khomeinista, umiliare il blocco contrapposto che fa capo all’Arabia Saudita ed è alleato con gli americani, e sfidare direttamente Israele.
La storia non si fa con i condizionali, ma se la Siria avesse ancora avuto un progetto nucleare oggi sarebbe un bel guaio perché è un paese sbranato da un conflitto interno, spesso i suoi soldati non riescono a difendere le loro posizioni e abbandonano nelle mani di gruppi estremisti tonnellate di equipaggiamento militare – che poi finiscono in video trionfali. Se il reattore di al Kibar distrutto nel 2007 fosse stato costruito, oggi sarebbe in mezzo alla valle dell’Eufrate, quindi nel pieno del territorio controllato da tre anni dallo Stato islamico (ma è lecito supporre che nel frattempo qualche tipo di intervento esterno avrebbe scongiurato questa possibilità). Se l’Iran fosse in una fase più avanzata della ricerca di nuovo sarebbe un problema serio, perché già oggi che ha a disposizione soltanto risorse convenzionali agisce fuori dai suoi confini e condiziona la vita di molti altri stati della regione, dallo Yemen al Libano dalla Siria all’Iraq. Potrebbe ricreare con Israele la stessa situazione di stallo atomico che c’era tra Unione sovietica e America durante gli anni della Guerra fredda, soltanto che in questo caso i minuti di preavviso sarebbero pochissimi e non qualche decina.
La Corea del nord insegue una megalomania pubblica, vistosa, fatta di culto della personalità e parate, ma il suo dittatore ha i tratti di una macchietta e per ora ha una proiezione locale della sua potenza. Gli stati che condividevano le ricerche atomiche con i coreani invece hanno aspirazioni molto più definite e pericolose. Hanno avuto soltanto meno successo.
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