La Catalogna indice il referendum sull'indipendenza, ma Madrid si oppone
Con una forzatura procedurale, il Parlamento di Barcellona ha votato a favore della risoluzione che fissa la consultazione al primo ottobre. Rajoy annuncia ricorso, la Corte costituzionale potrebbe annullare tutto
Qualcuno dirà, semplicemente: “Ci risiamo”. Dopo le due prove parziali del 2009 e del 2011, dopo la consultazione “informale” del 2014, ora la Catalogna ci riprova. Il Parlamento di Barcellona ha approvato, nella serata di mercoledì 6 settembre, la risoluzione che di fatto convoca il referendum sull'indipendenza della regione per il primo di ottobre. Lo ha fatto con una votazione d'urgenza, contestata dalle opposizioni locali e condannata dal governo centrale di Madrid, che ha dichirato “illegale” il provvedimento e ha garantito che farà di tutto per impedire la consultazione.
Il voto, voluto dal presidente separatista della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, è passato in tarda serata, in seguito ad una forzatura procedurale, con 72 voti a favore: quelli della maggioranza di governo composta da Junts pel Sì e da Candidatura d'unitat popular. Si sono astenuti gli esponenti di “Catalunya sì que es pot”, denominazione locale di Podemos, mentre i deputati dell'opposizione, esplicitamente contrari ai progetti secessionisti, sono usciti dall'aula in segno di protesta.
La legge, firmata da Puigdemont subito dopo l'approvazione del Parlamento locale, fissa in sostanza le regole del referendum. La data prescelta è il primo ottobre e non ci sarà alcun quorum da raggiungere perché il voto risulti valido. La domanda su cui i cittadini catalani saranno chiamati a pronunciarsi è molto semplice: “Volete che la Catalogna sia una repubblica indipendente?”.
Ma non è detto che si arrivi davvero al voto. Anzi è assai improbabile. Il governo di Madrid si è subito pronunicato contro la decisione del Parlamento di Barcellona e della Generalitat. Rajoy, supportato dal Partito socialista (Psoe) e dal movimento centrista Ciudadanos, ha dato mandato all'Avvocatura di stato di avviare le procedure per ricorrere alla Corte costituzionale e tentare così di impedire che il parlamento catalano discuta e adotti la legge di convocazione del referendum. Non solo: su sollecitazione dello stesso Rajoy, la Procura nazionale spagnola ha fatto sapere che denuncerà la presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell: l'accusa è quella di “disobbedienza” alla Corta costituzionale spagnola. Forcadell, esponente della sinistra indipendentista, ha replicato immediatamente chiedendo la ricusazione dei 12 giudici dell'alta corte, accusati di essere ormai “una estensione del governo” di Madrid.
Del resto non è la prima volta che la Consulta si oppone alle aspirazioni secessioniste di Barcellona. Era già accaduto – solo per citare il caso più recente – nel febbraio scorso, quando i giudici dell'alta Corte avevano annullato le risoluzioni con cui il parlamento catalano aveva chiesto d'indire un referendum sull'indipendenza regionale entro settembre 2017.
Le accuse incrociate di queste ore segnano il culmine di una tensione, tra Madrid e Barcellona, che neppure l'attentato terroristico sulla Rambla de Canaletes del 17 agosto scorso ha saputo stemperare, se non per poche ore. Di fronte all'ennesima inizativa separatista del governo catalano, a Madrid si è costituito un fronte unitario contrario a qualsiasi pulsione secessionista. Rajoy riceverà nelle prossime ore alla Moncloa, il leader del Psoe, Pedro Sanchez, e quello di Ciudadanos, Albert Rivera. Due incontri separati, finalizzati a stabilire le mosse per bloccare in ogni modo la consultazione del primo ottobre. Intanto, la direzione del partito socialista ha preso nettamente posizione contro il voto del parlamento di Barcellona, parlando di una “carnevalata”, di una votazione passata tramite l'“imposizione della forza”.
Il tutto, nell'attesa che la Corte costituzionale, come è ormai d'abitudine, arrivi a sospendere la legge incriminata. E qualcuno dirà: “Ci risiamo”.
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