Il Front National abbandona il no-euro, e un pochino pure Marine
Le Pen cambia tutto, dal nome del partito alla linea politica. Ma deve far fronte ai malumori crescenti tra i militanti
Come ogni anno Marine Le Pen ha organizzato la sua “rentrée”, il suo rientro politico dalle vacanze estive, a Brachay, un minuscolo paesino di 57 abitanti nell’alta Marna dove il partito ottiene da anni risultati sorprendenti (alle ultime presidenziali il 90 per cento).
Un’ora di discorso per un ritorno alle origini: terrorismo, identità francese e denuncia dell’immigrazione clandestina, i temi tradizionali del Front national. Non una parola contro l’euro o contro l’Europa: dopo la sonora bocciatura del programma sovranista, i frontisti hanno capito che la retorica del ritorno al franco è perdente nelle urne e complicata da difendere; meglio, dunque, abbandonarla. E qui sta la difficoltà di Marine, che ha annunciato una rifondazione profonda del movimento che cambierà nome, totem intoccabile fino a pochi anni fa e ora zavorra dalla quale liberarsi in fretta: il progetto politico frontista era basato sull’uscita dall’euro e dall’Europa. Niente franco? Impossibile condurre una politica monetaria indipendente. Niente Francia libera dai regolamenti di Bruxelles? Impossibile accordare il primato alle aziende francesi negli appalti o chiudere le frontiere in modo permanente. La battaglia sull’euro non può però essere rinnegata esplicitamente, e allora ecco che scompare, viene ignorata, vietato parlare dei temi sociali nella speranza che il dibattito torni a vertere sul terrorismo islamista e l’invasione dei clandestini. Così il Front national è il grande assente dalla battaglia politica dell’autunno, quella riforma del lavoro che è uno dei cardini del progetto di Emmanuel Macron e che vede l’ascesa di Jean-Luc Mélenchon come unico e vero oppositore.
Marine Le Pen alle ultime presidenziali ha perso, ma ha ottenuto il risultato migliore di sempre per il suo partito. Nessuno glielo ha riconosciuto perché la sconfitta, oltre che elettorale, è stata ideologica: l’idea di una Francia di nuovo padrona del proprio destino, “au nom du peuple”, è finita il 7 maggio. Dopo sei anni di marinismo il Front national è oggi un partito profondamente diviso tra la linea identitaria e quella sovranista, con un elettorato deluso e faide interne che ricordano pericolosamente la scissione di Bruno Mégret di fine anni Novanta. La domanda che circola, per ora soltanto nei retroscena, è la seguente: sicuri sia l’euro il problema e non la leadership?