Così in Germania è cresciuta la propaganda anti Merkel
Da quando sono arrivati i “trumpiani” in soccorso, l’AfD si è ringalluzzita. L’ultimo atto della campagna e il ruolo dei colossi di internet
Milano. Tre dipendenti della società texana di pr Harris Media si presentano ogni mattina alle 8 negli uffici dell’Alternative für Deutschland (AfD), partito euroscettico e anti immigrazione tedesco. Mettono musica grunge a volume alto – ha raccontato lo Spiegel – e introducono “priority meetings” nelle agende di chi lavora per la campagna elettorale dell’AfD per impostare gli slogan da far circolare sul web: hanno a disposizione “larga parte” dei tre milioni di euro di budget raccolti dal partito. La Harris Media è stata fondata nel 2008 in un dormitorio universitario da Vincent Harris, che non ha ancora trent’anni, che ad agosto è andato di persona a Berlino e che è stato definito da Bloomberg “l’uomo che ha inventato l’internet repubblicano”. Harris si è occupato della campagna web di Ted Cruz e poi di Donald Trump, così come era stato assoldato nel Regno Unito dall’Ukip di Nigel Farage per la campagna referendaria che ha portato alla vittoria della Brexit. E’ un’idea di Harris – scrivono alcuni reporter tedeschi – l’offensiva sui social media messa a punto nelle ultime settimane dall’AfD in vista del voto del 24 settembre, con un risultato già palpabile: secondo gli ultimi sondaggi, il partito si colloca in modo sempre più stabile al terzo posto, davanti ai liberali e alla Linke (Sinistra), mentre i due partiti principali, la Cdu di Angela Merkel e l’Spd di Martin Schulz, hanno perso entrambi, durante l’estate, 2/3 punti percentuali (sono al 37 e al 23 per cento rispettivamente). Ieri è stata lanciata un’altra campagna tetra, con un sito dedicato (il dominio è stato acquistato all’inizio di settembre): sfondo nero, un’immagine della cancelliera con gli occhi bassi, la scritta “Angela Merkel, Die Eidbrecherin”, quella che spezza i giuramenti, la traditrice. Cliccando si entra in un mondo che ricorda quello del “Lock her up!” gridato dai trumpiani a Hillary Clinton, e grazie a Google ads e a Twitter ads i meme e i messaggi presentati nel sito sono circolati rapidissimi e capillari.
Sul sito ci sono tutti i materiali da far circolare, l’elenco delle promesse non mantenute dalla Merkel sui vari temi cari all’elettorato dell’AfD, in particolare quello dell’immigrazione. Il sito non è ufficialmente dell’AfD – il dominio è stato registrato dalla stessa società utilizzata dalla Harris – ma è considerato l’ultimo atto di una campagna che è diventata molto più vivace ed esplicita, come dimostrano gli ultimi cartelloni pubblicitari, come quello con una ragazza col pancione sdraiata su un prato e la scritta: “I nuovi tedeschi? Ce li facciamo da soli”.
A lungo si è parlato delle possibili ingerenze esterne nella campagna elettorale tedesca, con l’occhio soprattutto ai russi, che hanno avuto un ruolo nell’elezione di Trump che una commissione indipendente dovrà accertare e che erano intervenuti in Francia contro la candidatura del (poi) presidente Emmanuel Macron. In Germania i controlli sono stati alti, ma il tono calmo e quasi soporifero della campagna, con un esito quasi scontato, ha fatto da anestetico anche per gli hackeraggi. Anche perché, rispetto ai fasti di una decina di mesi fa, il consenso per l’AfD è quasi dimezzato, e si pensava che il “pericolo populista fosse scongiurato”. Dalla metà di agosto invece qualcosa è cambiato, ed è stato rilevato anche un grande utilizzo di bot anti Merkel e anti media tradizionali, soprattutto nella notte dell’unico dibattito tv tra la cancelliera e Schulz. Il fatto che con il sistema di ads anche i colossi di internet siano in qualche modo complici ha riaperto il dibattito su dove tracciare la linea tra libertà di pensiero e censura. Da un punto di vista strettamente politico però, l’avanzata dell’AfD rende più probabile l’ipotesi del ripetersi di una Grande coalizione a Berlino.