Perché il vero rischio in Catalogna inizia dopo il referendum
Probabilmente l'indipendenza non si realizzerà, ma ormai tutta la struttura statale catalana rischia di crollare e per Rajoy i problemi devono ancora arrivare
Roma. Mettiamo che il referendum per l’indipendenza della Catalogna previsto per il prossimo 1° ottobre vada a finire come da migliori speranze del governo centrale di Madrid, con un buco nell’acqua, come già successe con il precedente tentativo del 2014, quando poche persone si presentarono alle urne e il risultato fu ignorato da tutti e dimenticato. Nessuno ha la certezza che le cose vadano così, perché questa volta i dirigenti indipendentisti catalani sono molto più decisi e pronti ad andare fino alle estreme conseguenze (l’arresto), e certe frange estremiste del movimento secessionista non lasceranno cadere il tema tanto facilmente.
Eppure ormai è abbastanza plausibile che, almeno questa volta, la secessione della Catalogna non si consumerà via referendum: troppo dure le contromisure messe in campo dal presidente del governo Mariano Rajoy, che ha mobilitato poteri giudiziari e amministrativi, ha visto i tribunali mettere sotto indagine tutti i massimi dirigenti catalani, ha diretto operazioni di polizia magniloquenti, con tanto di video diffusi al pubblico in cui le schede e i volantini elettorali sequestrati dalla Guardia civile sono filmati come se fossero pericolose partite di cocaina. Ieri il ministero delle Finanze ha confermato al sito The Spain Report che i conti del governo catalano sono stati posti “al 100 per cento” sotto il controllo di Madrid. Inoltre, Rajoy non ha ancora sfoderato la sua arma finale: l’articolo 155 della Costituzione spagnola, che revoca le autonomie dei governi locali nel caso in cui l’ordine costituzionale fosse messo in pericolo. Giusto ieri il Partito socialista, finora contrario all’applicazione dell’articolo, ha fatto sapere che in casi estremi potrebbe sostenere la revoca delle autonomie.
E dunque: forse anche a questo giro la Catalogna non diventerà indipendente, ma a questo punto si pone un altro problema, vale a dire lo stato in cui sarà ridotta la Catalogna alla fine della grande sfida secessionista. Sono molti i fattori di rischio che preoccupano il governo. Anzitutto “l’abisso giudiziario” (copyright El Mundo) nel quale rischiano di cadere tutte le alte cariche dell’amministrazione locale della Catalogna: dai membri principali del “govern” di Barcellona fino allo speaker del Parlamento locale, tutti si trovano sotto indagine per reati di disobbedienza o malversazione, e l’amministrazione potrebbe essere decapitata dalle condanne. Per ovviare al problema si potrebbe indire nuove elezioni catalane, ma la soluzione sarebbe solo parziale: è possibile che in caso di elezioni si ricandidino (e siano rieletti) gli stessi personaggi attualmente sotto indagine – e che la decapitazione amministrativa sia solo rimandata.
I problemi del governo catalano si potrebbero riflettere anche sui corpi che amministra, come i Mossos d’Escuadra, la polizia agli ordini diretti di Barcellona. Secondo i calcoli di Abc, otto Mossos su dieci intendono rimanere fedeli agli ordini della legge, e impedire le attività referendarie, ma certo non è confortante nemmeno in ottica post voto sapere che il 20 per cento dei poliziotti non è sicuro a quali ordini obbedire.
Soprattutto, se anche la sfida referendaria dovesse essere sconfitta, non lo sarà il secessionismo, anzi. La storia recente ha mostrato che dopo ogni flop gli indipendentisti percorrono strade sempre più radicali. Il governatore catalano Carles Puigdemont si è mostrato molto più intransigente del suo predecessore, Artur Mas, ed è probabile che la progressione continui. Sullo sfondo, in questi ultimi anni movimenti estremisti come la Cup, che coniuga secessionismo e comunismo maoista, hanno preso sempre più potere (la Cup è fondamentale per la tenuta dell’amministrazione Puigdemont), fomentando sentimenti di insurrezione. Il problema per Rajoy inizia il 2 ottobre.