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Trump arringa l'Onu e poi manda avanti il volto migliore del governo: Nikki Haley

Trump guarda l’odiato consesso del palazzo di vetro dal New Jersey. La lontananza strategica del presidente

New York. La battuta di Donald Trump alle Nazioni Unite era inevitabile: “Ho visto un grande potenziale dall’altra parte della strada”, ha detto il presidente, riferendosi alla Trump World Tower, torre dirimpettaia del Palazzo di vetro che ha fatto costruire nel 1998, scommettendo proprio sulla presenza del corpo onusiano come moltiplicatore del valore immobiliare. La simpatica trovata, già usata varie volte nel corso degli anni ma che assume un nuovo significato detta dal leader del mondo libero, dà la misura della concezione che Trump ha dell’Onu: un buon player nel mercato del real estate pieno di burocrati inconcludenti e spesso ostili agli Stati Uniti. E’ in questo spirito che Trump ha inaugurato la settimana dell’Assemblea generale, quella dove tutti i capi di stato e di governo convergono sulla sua New York mentre lui si rifugia nella tenuta del New Jersey, facendo la sua comparsa a Manhattan solo quando strettamente necessario e preferendo, quando possibile, ricevere capi di stato e di governo nel suo golf club. L’Onu è un luogo prossimo agli interessi del tycoon e lontanissimo da quelli del presidente, eletto dietro la promessa di combattere i luoghi simbolo dell’ideologia globalista e le burocrazie sopranazionali. La maggioranza degli americani vede favorevolmente l’Onu, ma la base irriducibile di Trump pensa del Palazzo di vetro quello che gli ultrà pensano della Fifa. Durante la campagna elettorale ha parlato di “totale debolezza” dell’Onu, lo ha apostrofato come consesso inutile e costoso, ha detto che “non è amico della democrazia e dell’America”, lo ha definito un “club per ritrovarsi, chiacchierare e passare un po’ di tempo”. Da presidente ha ammorbidito i toni, insistendo sul “grande potenziale” onusiano, ma è chiaro che la settimana dell’Assemblea generale è accompagnata dalla nube dell’ostilità trumpiana. Ieri ha esordito alla conferenza per la riforma dell’Onu usando il linguaggio a lui più congeniale, quello degli affari.

 

“Negli ultimi anni – ha detto Trump – le Nazioni Unite non hanno sviluppato il loro potenziale a causa della burocrazia e della pessima gestione. Non vediamo risultati in linea con gli investimenti”. Il presidente ha suggerito al consesso di “occuparsi più delle persone e meno della burocrazia” ed è tornato sul tema, inevitabile in questi contesti internazionali, dei contributi spropositati che l’America offre rispetto a tutti gli altri paesi. Washington provvede per circa il 30 per cento del budget dell’Onu, e la Casa Bianca ha gioco facile a sottolineare gli squilibri finanziari interni al grande patto delle nazioni, secondo una formula analoga a quella già vista nel rapporto con la Nato.

  

Trump mischia il disinteresse con i rimproveri all’apertura di un’Assemblea generale in cui lo stesso Trump è in cima a tutte le agende, a tutte le preoccupazioni, a tutti gli incontri fra i leader globali. Le minacce nucleari di Kim Jong-un, ribattezzato “rocket man” da Trump, saranno al centro dei dialoghi di questi giorni, ma anche questo dossier si misura necessariamente in relazione alla Casa Bianca. Ad aumentare la pressione su Trump c’è anche l’assenza di Vladimir Putin e Xi Jinping dal raduno annuale. Come se non bastasse, ieri Gary Cohn, principale consigliere economico di Trump, ha confermato in un incontro con una decina di ministri di vari paesi che l’America effettivamente abbandona l’accordo di Parigi sul clima, precisazione necessaria dopo alcuni giorni in cui sono circolate notizie ambigue sull’effettiva posizione della Casa Bianca.

 

Dopo l’incontro sulla riforma dell’Onu il presidente americano ha incontrato separatamente Emmanuel Macron e Benjamin Netanyahu; con il primo ministro israeliano ha discusso soprattutto dell’accordo nucleare con l’Iran siglato da Barack Obama nel 2015. In serata ha ospitato un forum sull’America latina, incentrato in particolare sulla situazione in Venezuela. Oggi tiene il suo primo discorso davanti all’Assemblea generale, seguito da una serie di incontri bilaterali, come prevede il protocollo. Ad aprire la strada e affiancare il presidente c’è l’ambasciatrice Nikki Haley, uno dei pochissimi membri dell’Amministrazione di cui il presidente non si è ancora stancato o con il quale non ha ancora avuto uno scontro. Trump ama il modo pragmatico, diretto e allo stesso tempo autorevole e sofisticato con cui Haley rappresenta gli Stati Uniti presso l’Onu, tanto che è stata de facto promossa a volto e voce della politica estera dell’Amministrazione. La sua quotazione sale nella misura in cui quella del segretario di stato, Rex Tillerson, scende, e quest’ultimo sta attraversando il punto più basso della sua breve carriera politica. Haley domina la scena, introduce il presidente come l’uomo che “schiaffeggia le persone giuste, abbraccia le persone giuste e viene fuori più forte di prima” e dice la sua su ogni dossier così come Trump le ha chiesto. Questa è anche, forse soprattutto, la sua settimana.

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