Poi Corbyn cantò
Show del leader del Labour inglese a Brighton. Tra i gadget si intuisce il culto della personalità
Milano. Il Labour inglese ha perso tre elezioni di fila in sette anni, l’ultima quest’anno all'inizio di giugno, ma per il popolo corbyniano non conta, non importa, non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Il giocatore è Jeremy Corbyn, leader scaldacuori, e per lui – che mercoledì ha parlato per un’ora e venti alla conferenza del partito a Brighton – ci sono soltanto applausi (uno a ogni frase), canti (a ogni evento, incontro, nei corridoi e nelle sale: e lui pure ha cantato, sul palco, “happy birthday” alla sua ministra nonché, si dice, ex fidanzata secoli fa, Diane Abbott), gadget diventati improvvisamente bellissimi (sono state vendute centinaia di sciarpe a quindici sterline l’una con scritto (“Oh Jeremy Corbyn”; c’è un libro a fumetti su di lui, la schiuma da barba, e poi le solite magliette, tazze, penne, salviette, borsine) e che non hanno bisogno di null’altro se non la sua faccia o il suo nome per essere super richiesti. In Europa Corbyn è il leader di un partito di sinistra tradizionale più acclamato, un generatore di entusiasmo straordinario, soprattutto tra i giovani, che sono gli elettori più volubili e più ricercati. In questi giorni di festa corbyniana a Brighton – una festa andata alla grande, due milioni di sterline raccolti e file lunghe di partecipanti – s’è molto discusso di culto della personalità, ché tanto fervore, tanta personalizzazione, tanto autoritarismo e discorsi fiume hanno ricordato leader sudamericani – e infatti Maduro, per dire, a Brighton è molto popolare. “Spesso sono molto imbarazzato” da questo culto, ha detto Corbyn a Sky News: “Non è quel che voglio, non lo sto alimentando”. Ma intanto il culto c’è, e mentre si discuteva se far parlare Corbyn da una piattaforma sul mare, con effetto cammina-sulle-acque, lui, il leader, ha utilizzato il suo discorso per rivendersi come il prossimo premier, ché tanto quello che c’è ora è debole, vago, litiga con i suoi e fa parte di un partito che ha rovinato il paese. Nella proposta di Corbyn c’è invece tutto il populismo di sinistra condensato in frasi brevi, spesso ironiche, applauditissime: contro le corporation, per le nazionalizzazioni (con citazione e standing ovation del sodale cancelliere dello Scacchiere John McDonnell), contro l’automazione, per i diritti dei lavoratori, contro i piani d’austerità del governo e per la Brexit, da consegnare con giudizio, con una transizione che, almeno questa, garantisca la permanenza del Regno Unito nel mercato unico europeo.
Tra le tante conquiste del Corbyn illusionista la più importante riguarda proprio la Brexit: lui che è il più euroscettico dei leader del Labour degli ultimi decenni è votato dagli europeisti che vogliono contrastare il governo dei Tory. Tutte le ipotesi di un partito del “remain” moderato, raggruppato attorno a un’iniziativa dei liberaldemocratici e dell’ala centrista del Labour sembrano ormai sfumate: Corbyn vive di rendita diventando l’unica alternativa europeista ai conservatori. E intanto affascina i brexiteers che temono per il loro posto di lavoro e vogliono un controllo all’immigrazione. Politicamente, si tratta di una magia decisiva, che è riuscita soltanto a lui.
Dentro al partito in realtà si discute molto sulla linea da tenere sulla Brexit, in particolare sulla questione del mercato unico, che è dirimente come si sa per il futuro del rapporto tra Londra e continente europeo: dentro o fuori? Ma Corbyn ha fatto sì che non ci fosse una votazione pubblica – lui combatte lotte interne che può soltanto vincere – e ha continuato a ribadire la sua posizione di mezzo in attesa di definizione, disinnescando l’unica bomba che poteva scoppiare nel tempio di Brighton. E così c’è stato spazio soltanto per lotta al potere costituito e nazionalizzazioni, corbynismo allo stato puro, assieme alla certezza – perché a Brighton i condizionali non li ha usati nessuno – che alle prossime elezioni Corbyn sarà premier. L’ipotesi non è affatto remota, con la conseguenza che nel giro di qualche anno il Labour garantirà al Regno Unito sia la Brexit sia le nazionalizzazioni.
E’ chiaro allora che la ridotta centrista, gli odiatissimi blairiani, non si sia nemmeno presentata a Brighton: i moderati sono il bersaglio preferito della kermesse, responsabili di ogni nefandezza, compreso il tentativo “sulfureo” (copyright del leader sindacalista Len McCluskey) di far passare il Labour come un partito antisemita. Chi si dissocia non è benvenuto, alla festa ci sono soltanto gli amici e anche, rarità, la moglie di Corbyn, l’attivista messicana Laura Alvarez, che ha partecipato alla festa organizzata dal sindacato Unite, annunciando di esserne membro orgoglioso. Corbyn è talmente consapevole della propria forza che ha criticato i media “tradizionali”, ha citato il Daily Mail come esempio di un “attacco quotidiano a ogni passo”, dimostrando che le chiacchiere che si fanno sulla cosiddetta alt-left che usa gli stessi metodi dell’alt-right non sono affatto campate per aria.
In quello che il Guardian ha definito “il miglior discorso della sua carriera”, Corbyn ha anche allungato una mano: oltre a festeggiare il suo governo ombra (elogio accolto con grande sollievo dagli interessati: il leader ha una certa facilità con le epurazioni), ha anche citato Ed Miliband, suo predecessore alla guida del partito, responsabile della sconfitta del 2015, e tenuto a lungo lontano perché considerato troppo moderato. Ed Miliband ha organizzato un evento martedì sera con un quiz spassoso sul partito e su Corbyn (anzi: sulle ciabatte di Corbyn), e tutti l’hanno trovato in grande forma: a quando l’annuncio del suo ritorno nel governo ombra, a servire il leader? Lui non risponde, ma ripete giulivo: “Grande discorso”.