Telegram, l'app “quasi russa” che non piace al Cremlino

Micol Flammini

Il servizio di messaggistica istantanea si rifiuta di dare alla Russia la chiave per decodificare i messaggi. L'Fsb risponde: “state violando la legge anti terrorismo”

Telegram, il servizio di messaggistica istantaneo era l’orgoglio di Mosca. Fondato nel 2013 da due fratelli Nikolaj e Pavel Durov, gli stessi che hanno creato Vkontakte, consente di scrivere chat segrete con un alto livello di crittografia. Volendo, le chat sono anche in grado di autodistruggersi.

 

Poi le cose sono cambiate e ora l’Fsb, l’agenzia dei servizi segreti russi erede del Kgb, ha chiesto a Telegram di decrittare tutti messaggi dei suoi utenti, come prevede la legge anti terrorismo, la Yarovaya, pena il blocco del servizio.

 

Questo scontro va avanti da giugno, quando i servizi segreti avevano annunciato che l’attentato terroristico di aprile alla metropolitana di San Pietroburgo era stato preparato proprio via Telegram, così come già per altri attacchi organizzati in Europa. Nonostante le richieste delle autorità, i fratelli Durov si sono rifiutati di condividere le informazioni degli utenti, così Roskomnadzor, l’ente che si occupa delle comunicazioni, aveva accusato Nikolaj e Pavel di violare la legge anti terrorismo. L’Fsb ha avviato in questi giorni una procedura amministrativa, in cui sono concessi cinque giorni di tempo a Telegram per consegnare le chiavi per decodificare i messaggi, ma i fratelli dicono: “Il nostro servizio resta neutrale e segreto”.

 

Nikolaj e Pavel non sono nuovi ai servizi segreti russi, il primo è il programmatore, il secondo il manager. Prima di fondare Telegram, avevano deciso di lanciare la sfida a Zuckerberg, con la creazione di Vkontakte, il clone di Facebook, ma russo. Il social ha avuto moltissimo successo in Russia, tanto da spingere lo stesso Zuckerberg a fare un viaggio per capire come mai il suo social network non avesse molto seguito nell’ex territorio sovietico. Vkontakte poi venne accusato dall’Fsb di favorire l’organizzazione di proteste contro il governo, costringendo di fatto i due fratelli a vendere le loro quote e a uscire dal paese. A quel punto - era il 2013 - i Durov hanno creato Telegram. Con il quartier generale a Berlino, e la sede fiscale a Londra, l’applicazione è una società “quasi russa”, come l’ha definita di recente Bloomberg, che ha server in tutto il mondo ma non nell’ex Urss.

 

In paesi come la Russia e la Cina il controllo dei dati personali degli utenti online è diventata una priorità strategica. Da anni Mosca promuove una politica di controllo fisico dei dati, e chiede alle compagnie di internet di tenere in Russia i server che contengono le informazioni degli utenti russi. L’obiettivo principale del Cremlino sono i grandi social network americani, Facebook e Twitter, ma nemmeno i connazionali sono risparmiati. L’Fsb sta sfumando il confine che c’è tra privacy e sicurezza e con la scusa della legalità probabilmente porterà in tribunale i Durov come avvertimento ai due social network americani.

 

Le app di messaggistica come Telegram (ma anche WhatsApp), hanno dato un senso di sicurezza ai loro utenti. Sia come alternativa a servizi palesemente controllati e controllabili (per esempio WeChat in China), sia perché, almeno a parole, prevedono un totale criptaggio delle conversazioni. Solo mittente e destinatario possono conoscere il contenuto della chat. A questo si aggiunge un dato geografico: i russi tendenzialmente si fidano di più di app non riconducibili al vecchio nemico americano, vedi il successo di Vkontakte o di Yandex, preferiti a concorrenti americani Facebook e Google. Telegram è molto usata in medio oriente, in Iran – dopo una campagna anti Facebook – è diventata la prima app scaricata su Android. E’ l’app preferita dai miliziani dell’Isis, e persino in Corea del sud si è registrata una migrazione di massa dopo uno scandalo che ha coinvolto Kakao, servizio coreano di chat. Tutti fattori che hanno contribuito al successo di Telegram, gli stessi, forse, che ne fanno il nuovo capro espiatorio di Putin nella guerra per la sovranità cibernetica.

 

I fratelli Durov lo sanno, e ora che hanno raggiunto i cento milioni di utenti, non sono disposti a rinunciarvi rendendo accessibili i loro dati.

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