Dal Guardian a Donald Trump, la crisi catalana è internazionale. Non a caso
La campagna di sensibilizzazione all'estero è iniziata da tempo e c'è anche lo zampone della Russia
Roma. Ada Colau, la sindaca di Barcellona vicina a posizioni indipendentiste ma mai abbastanza, e dunque accusata di fare il doppio gioco, ieri si è rivolta al Guardian. Dal giornale inglese, la Colau ha lanciato un appello alla Commissione europea affinché “protegga i diritti e le libertà” dei catalani. Dall’altro lato dell’Atlantico, due giorni fa il presidente americano Donald Trump intratteneva nel Rose Garden il premier spagnolo Mariano Rajoy e diceva, con gran gaudio del suo ospite, che per la Catalogna separarsi dalla Spagna sarebbe una “stupidaggine”. Ora, conoscendo la costanza trumpiana, è probabile che se il presidente avesse avuto davanti il governatore catalano Puigdemont, avrebbe espresso simpatie per la causa dell’autodeterminazione catalana, ma Rajoy non si è risentito, ché tutto fa brodo nel gran gioco del sostegno internazionale.
Esempi simili potrebbero andare avanti all’infinito. Ieri il País dava sorprendente risalto all’italiano Enrico Letta e alle sue posizioni anti indipendenza, mentre i giornali secessionisti rispondevano con il “Votarém” della stella internazionale del calcio Gerard Piqué (beniamino degli unionisti è invece il tennista Rafael Nadal, che ha detto che “non può concepire una Spagna senza la Catalogna). L’Europa è strattonata da ogni parte, con gran imbarazzo dei burocrati europei, che per ora mantengono una posizione di assoluta equidistanza. E ogni volta che un qualche leader si esprime sul tema, le sue parole ottengono un risalto impressionante.
Il fatto è che, mentre a Barcellona continua la partita a scacchi tra governo centrale e locale, e ancora ieri la Guardia Civil sequestrava cento urne per votare e due milioni e mezzo di schede elettorali, nel frattempo la crisi catalana si sta internazionalizzando, e non solo perché il mondo si è accorto che un pezzo di Spagna rischia davvero di staccarsi – o, quanto meno, di finire nel caos amministrativo a partire dal 2 ottobre, quando metà della classe dirigente locale sarà in prigione o esonerata dal suo posto, e metà della popolazione sarà inferocita con il governo centrale.
Il governo catalano da tempo persegue una politica di sensibilizzazione sui temi catalani e di internazionalizzazione del conflitto. La strategia passa da lunghi paper in cui, più o meno in punta di diritto, si spiega che una Catalogna indipendente dovrebbe essere automaticamente un nuovo membro dell’Unione europea, all’apertura di ben 17 uffici di rappresentanza nel mondo, che Barcellona definisce “ambasciate” deputate alla creazione di “rapporti bilaterali” e alle quali dedica una spesa annuale di 6,5 milioni di euro. Questo sforzo si avvale anche di un discreto muscolo di “soft power”, che consta del sostegno della squadra di calcio del Barcellona e della compiacenza delle guide turistiche catalane, che spesso dicono ai turisti stranieri che la Catalogna è “una nazione europea”.
In questo grande gioco, il sostegno più inatteso è però quello dei troll russi. Gli agenti di Mosca vedono nella crisi catalana un’occasione perfetta di destabilizzazione europea, e hanno sguinzagliato i loro proxy: la notizia più recente è che gli hacker russi aiutano a rimettere online i siti secessionisti proibiti dal governo, e le tattiche ben note e già in atto in altre parti d’occidente hanno reso unidirezionale la guerra della propaganda online: su Twitter, i tre opinionisti più seguiti sul caso catalano sono Julian Assange, Edward Snowden e l’account di Wikileaks.