Tre road map per rifondare l'Europa
La Macromania ora è di nuovo fortissima. Ma attenzione: tutto è fermo senza Berlino
Bruxelles. Emmanuel Macron, dopo il suo discorso alla Sorbona, è la nuova star dell’Unione europea. Secondo il programma ufficioso, il leader francese ieri doveva essere il primo a prendere la parola nella cena informale dei capi di stato e di governo che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato a Tallinn per discutere della ristrutturazione dell’Ue. “Ha rubato la vedette ad altri”, ha detto un diplomatico all’Afp. Sulla copertina dell’Economist, Macron è ritratto sotto un riflettore e davanti a un microfono, mentre Angela Merkel è silente nell’ombra: “Un nuovo ordine europeo”, sostiene il settimanale. Dimenticate la Brexit: il discorso di Theresa May a Firenze ha sbloccato i negoziati. Il quarto round tra Michel Barnier e David Davis è andato molto meglio dei precedenti. “Progressi decisivi”, ha detto il ministro britannico. “Non ancora sufficienti” (in particolare sul “Brexit bill”), ha risposto il capo-negoziatore dell’Ue. Ma i 27 potrebbero fare qualche concessione in più perché sono di umore migliore, come dimostra l’invito alla May alla cena di Tallinn. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, è entusiasta del discorso alla Sorbona: “Le proposte visionarie e dettagliate che il presidente francese ha fatto si iscrivono pienamente nello spirito ambizioso” dell’esecutivo comunitario. Secondo Juncker, “gli ingredienti per una discussione significativa” tra i leader “ci sono tutti”, ha spiegato il suo portavoce. Il presidente della Commissione si augura che “questo processo porti a dei risultati prima delle elezione europee nel 2019”. Juncker ha già chiesto alla Romania di organizzare un Vertice straordinario il 30 marzo 2019, giorno della Brexit, dove i capi di stato e di governo dovrebbero prendere all’unanimità una decisione sul futuro dell’Europa. Il governo rumeno, che avrà la presidenza dell’Ue in quella primavera di divorzio, ha risposto positivamente: destinazione Sibiu, con allegata road map di Juncker. Ma il futuro resta anche merkeliano, nonostante la Macronmania.
Merkel rimane un interlocutore “imprescindibile”, spiega al Foglio una fonte francese: “Prima dobbiamo metterci d’accordo tra Francia e Germania, poi si inizia a discutere con tutti gli altri”. Macron ha alleggerito il suo discorso alla Sorbona (in particolare sulle proposte per la zona euro) per non mettere in difficoltà la cancelliera nei negoziati sulla futura coalizione con i liberali dell’Fdp e i Verdi. Prima della cena di Tallinn, Macron e Merkel si sono appartati per un bilaterale. Merkel ha detto: “C’è grande consenso tra Francia e Germania. Dobbiamo naturalmente parlare ancora dei dettagli, ma sono fermamente convita che l’Europa non può restare qui”, cioè ferma. A Bruxelles si parla di “storia d’amore vera” che sarà “consumata” una volta che ci sarà il nuovo governo a Berlino. Non è un caso se c’era un’altra grande domanda alla cena di ieri nel castello di Kadriorg: quanto tempo servirà alla cancelliera per formare la sua nuova coalizione? Dalla risposta dipendono tempi, modalità e contenuti del dibattito sul futuro dell’Ue. La road map di Juncker prevede delle proposte per riformare la zona euro il 6 dicembre. A maggio 2018 arriveranno le idee per il bilancio pluriennale dopo il 2020, a giugno una nuova strategia per energia e clima (compreso un nuovo trattato Euroatom), a settembre la richiesta di passare al voto a maggioranza in politica estera e nel settore della tassazione. Nell’autunno del prossimo anno, Juncker tornerà alla carica con il superpresidente di Commissione e Consiglio europeo. In termini di calendario, Tusk vuole andare ancor più veloce. Nella lettera con cui ha invitato i leader a Tallinn, il presidente del Consiglio europeo ha indicato che la prima discussione sulla riforma della zona euro si terrà a dicembre, ma che le “decisioni concrete dovranno essere prese al più tardi a giugno del prossimo anno”. La road map di Macron è più articolata: creare subito un “gruppo della rifondazione europea” fatto di “stati membri volontari” cui “associare le istituzioni europee” e che entro l’estate del 2018 proponga le misure per riformare l’Ue nutrendosi dei dibattiti dei cittadini. Ma finché a Berlino Merkel non avrà formato un governo, con i dettagli delle posizioni europee della Germania iscritti nel contratto di coalizione, “l’Ue resterà ferma”, spiega al Foglio un ambasciatore.
Aldilà dei tempi, sono i contenuti del programma macroniano che rischiano di frapporsi alla rifondazione dell’Ue. “Alla Sorbona Macron ha mostrato il suo amore per Merkel, ma ha mancato di rispetto ai piccoli paesi dell’est e dell’ovest”, dice l’ambasciatore. I progetti di armonizzazione fiscale, accompagnati dalla minaccia di sospendere i fondi strutturali, sono una dichiarazione di guerra all’Irlanda e ai paesi dell’est. La tassa sui ricavi dei giganti del digitale non piace ai Paesi baltici. Il gruppo di Visegrad non vuole sentir parlare di armonizzazione sociale. I toni protezionisti della “Europa che protegge” sollevano interrogativi nei paesi del sud che hanno bisogno degli investimenti e in quelli del nord che commerciano con la Cina. La stessa Germania – liberali o no nella prossima coalizione – non è disposta ad andare oltre un certo limite sulla riforma della zona euro, se la Francia (ma anche l’Italia) non accetterà di trasferire più sovranità di bilancio verso Bruxelles con un’applicazione più automatica del Patto di stabilità. Se Merkel non uscirà dall’ombra per cantare allo stesso microfono di Macron, la rifondazione rischia di rimanere un assolo stonato.