In Catalogna gli indipendentisti si dividono sui prossimi passi da compiere
Dopo il voto di domenica, Puigdemont cerca il sostegno di un attore terzo, vista la rottura irrimediabile con Rajoy. Ma l'ala più oltranzista vorrebbe subito la Dichiarazione unilaterale di indipendenza
Barcellona. La frase chiave l'ha pronunciata Carles Puigdemont, il governatore catalano, dopo le dieci e mezza di domenica sera, quando è apparso insieme al suo vice Oriol Junqueras e alle alte cariche del governo locale davanti alle telecamere del Palau de la Generalitat. "Noi cittadini catalani ci siamo guadagnati il diritto di avere uno stato indipendente che si costituisca in forma di repubblica", ha detto Puigdemont, ripetendo praticamente per intero il contenuto del quesito elettorale su cui due milioni e duecentomila catalani avevano da poco finito di votare. I risultati del referendum non erano ancora stati pubblicati, non si sapevano dati né numeri, ma quelli erano scontati e comunque la decisione era già presa e chiara, forse lo era prima ancora che il referendum si celebrasse: indipendenza.
I risultati sono arrivati poco dopo la mezzanotte, annunciati da un esponente del governo: 2.262.424 voti espressi, di cui 2.020.144 Sì, il 90,09 per cento. Contando che gli aventi diritto al voto erano 5.343.358, la partecipazione è stata del 42,34 per cento. Meno della metà degli elettori catalani, ma poco importa: il Govern di Barcellona non ha mai fissato un quorum per il referendum, per "evitare i boicottaggi", e dunque si va avanti.
Cosa significa nel concreto andare avanti è complesso dirlo. Secondo la "Legge di transitorietà", la norma approvata dal Parlament di Barcellona a inizio settembre per definire il distacco della Catalogna dalla Spagna e annullata dal Tribunale costituzionale spagnolo, entro due giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum il Parlament deve celebrare una sessione ordinaria per "effettuare la dichiarazione formale dell'indipendenza della Catalogna, i suoi effetti e definire l'inizio del processo costituente". Il giorno perfetto è mercoledì 4 ottobre, quando già da tempo è stata convocata una sessione plenaria dell'Aula.
Oggi sono iniziate le riunioni di avvicinamento a questa data. Carme Forcadell, presidente indipendentista del Parlament, ha convocato per il pomeriggio la Giunta parlamentare per decidere l'ordine del giorno del plenum del 4 ottobre (poche sorprese in questo campo). Puigdemont ha organizzato per stamattina un Consiglio esecutivo straordinario e a porte chiuse per decidere i prossimi passi. A Madrid, invece, già ieri sera il primo ministro Mariano Rajoy ha convocato per oggi "tutte le forze politiche con rappresentazione parlamentaria" per "riflettere" su quanto accaduto al referendum di domenica.
Non è detto però che la cosiddetta Diu, la Dichiarazione unilaterale di indipendenza, arrivi già questa settimana. Secondo El Confidencial, già a partire da ieri si sono aperte le contraddizioni dentro al fronte indipendentista sui prossimi passi da fare dopo il successo del referendum. Da un lato c'è l'ala più dura del gruppo secessionista, formata dal partito veterocomunista Cup e dai movimenti sociali Anc e Omnium, che hanno ricoperto un ruolo fondamentale durante il processo referendario, agendo come "avanguardia indipendentista" capace di mobilitare le masse. I falchi vorrebbero approvare immediatamente l'indipendenza e andare allo scontro frontale con Madrid, che ovviamente non riconosce il risultato del referendum e sta già preparando tutte le contromisure a sua disposizione per evitare la secessione.
Dall'altro lato però gli operatori più politici del gruppo indipendentista, con a capo Puigdemont e Junqueras, ragionano in maniera tattica e vorrebbero approfittare della gigantesca vittoria d'immagine ottenuta ieri dopo la violenta e maldestra risposta del governo spagnolo al referendum, che ha attirato le critiche di tutto il mondo su Madrid.
Puigdemont e i suoi sanno che, anche con la vittoria di ieri, affinché la Catalogna ottenga davvero l'indipendenza serve l'intervento di un attore terzo, perché i ponti con Madrid sono ormai tutti tagliati e Rajoy non si smuoverà mai dalla sua posizione di durezza, specialmente ora. Se riuscissimo a continuare con la strategia vincente attuata finora - questa è una delle teorie prevalenti tra i "moderati" - a fare valere il peso degli 800 e passa feriti malmenati dalla polizia domenica e a trascinare tutta l'opinione pubblica internazionale dalla nostra parte, allora sì che qualcuno dall'esterno sarebbe costretto ad agire, per esempio l'Unione europea. Secondo fonti del Confidencial, i politici indipendentisti sperano che sull'onda dell'indignazione le istituzioni internazionali costringano o convincano Rajoy a indire un nuovo referendum catalano, questa volta ufficiale e riconosciuto.
Intanto però la Cup e i movimenti sociali hanno proclamato uno sciopero generale per "bloccare il paese" martedì 3 ottobre. La ragione ufficiale è la protesta contro le violenze della polizia. Ma l'obiettivo è forzare la mano della Generalitat. Venerdì notte, due giorni prima del referendum, alla manifestazione di chiusura della campagna elettorale, Mireia Boya, esponente della Cup, ha lanciato un messaggio chiaro che è suonato come una minaccia anche per i suoi alleati: "Roma non paga i traditori. Ci ricorderemo di voi e non vi perdoneremo mai".