Riecco la cortina di ferro
L’ovest è liberaldemocratico, multiculturale e post religioso. L’est è democratico-illiberale, nazionalista e cristiano. “Una diversità che nasce dallo choc del passato comunista”
Immaginate l’Europa come un paio di polmoni”, ha detto Reiner Haseloff, il primo ministro dello stato della Sassonia-Anhalt. “L’Elba è dove si incontrano i due polmoni”. Questo, almeno, è quello che doveva essere sulla carta, ideale e non soltanto geografica. Il 25 aprile 1945, su un ponte gettato sull’Elba, soldati americani da una parte e sovietici dall’altra si strinsero la mano. Poi, per mezzo secolo, il fiume è rimasto un confine politico e ideologico sigillato, che attraverso l’Assia, la Turingia e la Sassonia portava nell’estremo oriente tedesco, oltre l’Oder, verso le pianure polacche.
Il fiume Elba è di nuovo una faglia. Demografica, culturale, religiosa, sociale e politica. Le elezioni tedesche del 24 settembre ce lo hanno ricordato. E’ nella ex Ddr, la terra di Bach, Cranach, Goethe, Haendel, Hegel, Humboldt, Lutero, Schiller e Schumann, che l’estrema destra antisistema di Alternative für Deutschland è arrivata prima. Ma è come se tutta l’Europa centro-orientale avesse abbracciato l’“alternativa”, dagli ungheresi di Viktor Orbán agli slovacchi di Robert Fico e i polacchi di Diritto e Giustizia, i tre di Visegrad. Questa nuova cortina di ferro non è come la fascia di sicurezza desertificata e sulla quale si sono infrante vite e tentativi di evasione, fatta di torri di avvistamento, cavalli di frisia e reparti di frontiera, cui un reticolo di controlli elettronici segnalava le intrusioni.
"L'est è cinquant'anni indietro rispetto all'Europa occidentale nel rapporto con gli acidi della post modernità", ci dice Weigel
Là dove una volta c’erano filo spinato, stelle rosse e kalashnikov, oggi ci sono le idee a separare le due Europe. L’ovest europeo è liberaldemocratico, multiculturale, post-cristiano ed evoluto socialmente. L’est è democratico-illiberale, culturalmente omogeneo, tradizionalista e ancora molto cristiano. L’ondata populista in Ungheria, in Polonia, nella ex Ddr, in Slovacchia e altrove riflette uno choc identitario e culturale, figlio di mezzo secolo di comunismo.
“Mi pare che le differenze diventeranno sempre meno evidenti più ci allontaneremo dal 1989”, dice al Foglio George Weigel, uno dei maggiori intellettuali cattolici americani nonché biografo di Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger. “L’Europa orientale e centrale è meno plasmata dal ‘multiculturalismo’. Questo ha a che fare con l’immigrazione e con il fatto che paesi come la Polonia sono cinquant’anni indietro rispetto all’Europa occidentale nel rapporto con gli acidi culturali e ideologici della tarda modernità e della post-modernità. Il ‘gap’ fornisce a paesi come Polonia e Lituania l’opportunità di prendere il meglio della modernità senza arrendersi al cinismo e al relativismo post-moderni. Spero che colgano questa opportunità, perché il loro successo nel navigare attraverso i cambiamenti culturali può avere un effetto positivo su una Europa occidentale confusa e decadente”.
La rivista cattolica americana First Things ha parlato di “risveglio cristiano dell’Europa centro-orientale”. Weigel non è d’accordo. “L’occidente è post-cristiano, ma non penso possiamo parlare di risveglio a Est. Il ritorno del nazionalismo in quei paesi non va confuso con il risveglio cristiano”. Altri hanno parlato dell’onda lunga dello choc generato da mezzo secolo di comunismo, da qui l’attaccamento all’identità nazionale, culturale e religiosa. “La rapidità con cui alcuni dirigenti dell’Europa centrale e orientale hanno adottato lo scetticismo e il relativismo post-moderni suggerisce che il comunismo ha profondamente eroso le radici culturali cristiane dei paesi un tempo occupati”, conclude Weigel al Foglio. “Questo è meno vero in Polonia che altrove, a causa del forte ruolo della chiesa cattolica come depositaria della memoria culturale polacca e dell’identità sotto il comunismo”.
"L'internazionalismo di sinistra non ha mai attecchito a est e l'identità li ha aiutati a sopravvivere ai sovietici", dice Ukielksi
Non è d’accordo Filip Mazurczak, studioso polacco, editor del qudrimestrale New Eastern Europe e corrispondente del National Catholic Register. “Nel XIX secolo pensatori atei come Marx, Feuerbach, Comte, e più tardi Freud, credevano che la società sarebbe diventata meno religiosa in quanto sarebbe diventata più ricca”, dice Mazurczak al Foglio. L’ultima copertina della sua rivista è dedicata all’“homo post sovieticus”, l’europeo centro-orientale.
“Per me, un confronto tra la Slovacchia e l’Irlanda è interessante. Alla fine degli anni Ottanta, l’Irlanda era uno dei paesi più poveri dell’Europa occidentale. Ed era anche uno dei più religiosi. Negli anni Novanta, tuttavia, il paese ha raggiunto livelli di crescita economica simili a quelli delle tigri dell’Asia orientale. Nell’arco di un decennio, l’Irlanda è passata da essere uno dei paesi più poveri dell’Europa occidentale a uno dei più ricchi, da paese di emigrati a uno di immigrati. Allo stesso tempo, l’Irlanda ha messo da parte rapidamente l’identità cattolica. Il fatto che la maggior parte degli irlandesi si curi ormai poco della propria religione si è capito nel 2015, quando una grande maggioranza ha votato per legalizzare le nozze gay in un referendum. Negli anni Duemila, prima della recessione globale, la Slovacchia era la ‘tigre di Tatra’. La sua economia stava crescendo molto rapidamente e molti stranieri hanno investito nel paese. In particolare, la Slovacchia è diventata la Detroit d’Europa con le sue numerose fabbriche automobilistiche. Tuttavia, malgrado questo aumento della ricchezza, i livelli di religiosità in Slovacchia sono ancora alti rispetto alle norme europee e il paese attira molte vocazioni al sacerdozio. Allo stesso modo, la partecipazione alla messa in Polonia è al 40 per cento. Dato l’enorme cambiamento sociale, economico e politico in Polonia dopo il 1989, è un miracolo che il declino della religiosità del paese sia stato così lento, in calo di circa il tre per cento in un decennio. Le chiese sono ancora piene di domenica in Polonia e in Slovacchia, e vedete molti giovani e famiglie, non solo vecchie signore. Quindi non penso necessariamente che i cambiamenti nella religiosità di una società siano strettamente correlati al suo progresso economico. Penso quindi che la cultura e la storia svolgano un ruolo importante. Nell’Europa occidentale la transizione verso la democrazia è stata spesso legata alla lotta contro la chiesa, ma questo non è stato necessariamente il caso dell’Europa orientale. Infatti, in paesi come la Polonia, la chiesa era all’avanguardia della lotta per l’indipendenza nazionale”.
Sul multiculturalismo, la situazione è meno semplice. “La Slovacchia ha grandi comunità ungheresi e rom” continua al Foglio Mazurczak. “L’Ungheria ha molti rom. L’Ucraina, la Bielorussia e la Lituania hanno grandi minoranze polacche e russe. Tutto ciò si riferisce ai cambiamenti delle frontiere tra i paesi. E’ vero che i paesi dell’ex sfera di influenza sovietica hanno meno immigrati. Le ragioni sono semplici. In primo luogo, gli standard di vita sono più alti nell’Europa occidentale. Durante la Guerra fredda, le differenze erano drammatiche. Inoltre, i paesi dell’Europa occidentale, a differenza di quelli a est dell’Elba, avevano abbondanza di ex colonie in Africa e in Asia da cui gli immigrati sono venuti in grandi quantità”. Tuttavia, questo sta cambiando. “Ci sono almeno 1,2 milioni di ucraini che lavorano legalmente in Polonia. Un numero crescente di bielorussi sta arrivando in Polonia, così come l’economia della Polonia sta crescendo. Inoltre, lo slavo bielorusso e ucraino impara il polacco e si assimila piuttosto rapidamente. Così ora la Polonia sta diventando un paese di immigrati. L’Europa centro-orientale non è omogenea per quanto riguarda la religiosità. Ad esempio, il paese più secolarizzato in Europa è la Repubblica ceca. Nel censimento più recente, solo il 15 per cento della popolazione ha professato una affiliazione religiosa. L’Estonia è probabilmente il secondo paese meno religioso d’Europa. Tuttavia, in generale, è vero che la maggior parte dei paesi più religiosi d’Europa si trova nell’ex sfera d’influenza sovietica. Un livello simile di religiosità può essere osservato nella metà occidentale dell’Ucraina (l’est è secolarizzato, con bassi tassi di frequentazione della chiesa), dove la popolazione è divisa tra cristiani ortodossi e cattolici greci, con alcuni cattolici romani. La maggioranza ortodossa della Romania è abbastanza religiosa. L’opinione pubblica mostra che anche gli armeni, primo popolo ad adottare il cristianesimo (nel 301 d. C., dodici anni prima dell’editto di Milano), sono molto religiosi. L’anno scorso 51 sacerdoti sono stati ordinati in Slovacchia. A paragone, in Germania, con 24 milioni di cattolici (rispetto a solo 3-4 milioni in Slovacchia), soltanto in 58 sono stati ordinati nel 2016. In generale, l’Europa occidentale è piuttosto secolarizzata”.
"I paesi con la più forte identità cristiana si trovano tutti nella ex sfera di influenza sovietica", ci dice Filip Mazurczak
L’est si differenzia dall’ovest anche sui temi sociali. “Le leggi abortive istituite dai governi comunisti sono rimaste intatte in tutti i paesi dell’Europa dell’est, tranne la Polonia. Tutti i sondaggi pubblici mostrano che il sostegno polacco all’aborto è scemato notevolmente negli ultimi 24 anni. Ora, la maggior parte dei polacchi crede che l’aborto sia moralmente sbagliato e appoggia l’attuale legislazione. Questo è in larga misura il frutto delle opere della chiesa. Il più alto livello di opposizione all’aborto è tra i giovani polacchi (18-24 anni). La costituzione dell’Ungheria del 2011 dichiara che i non nati hanno il diritto alla vita. In Russia, la chiesa ortodossa ha assunto la guida nella raccolta di firme per iniziative civiche che vietano l’aborto. In Romania e in Moldavia, il movimento pro-vita è in crescita. La maggioranza delle persone dell’Europa centro-orientale si oppone all’ideologia Lgbt. Il sostegno popolare per il matrimonio gay è basso. Nel dicembre 2015 quasi due terzi degli sloveni hanno votato contro la legalizzazione in un referendum. In Croazia nel 2013, una percentuale simile ha votato contro in un altro referendum. In generale, le società dell’Europa centro-orientale sono immuni dall’ideologia Lgbt”.
Sotto il comunismo, i paesi dell’est hanno lottato per preservare la propria cultura. “La chiesa cattolica ha svolto un ruolo importante nel preservare la cultura. Durante i momenti difficili nella storia, la chiesa era al fianco del popolo. Durante l’occupazione tedesca della Polonia, metà del clero cattolico fu deportato a Dachau e in altri campi. Dopo la guerra, il ruolo della chiesa nel combattere l’indipendenza polacca è cresciuto, in gran parte grazie al cardinale Stefan Wyszyński (1981), che ri-evangelizzò la nazione polacca per la celebrazione del millesimo anniversario del battesimo della Polonia nel 1966. L’elezione di un Papa polacco nel 1978 ha rafforzato il ruolo della chiesa come difensore della nazione polacca. Negli anni Ottanta, la chiesa cattolica ha svolto un ruolo enorme nel sostegno a Solidarnosc. Nella Germania orientale e nelle terre ceche della Boemia e della Moravia in Cecoslovacchia, il comunismo è riuscito quasi a sradicare la religione. In Ungheria, il cardinale Jozsef Mindszenty era un avversario coraggioso del dominio comunista. Tuttavia, nella sua miopica politica di Ostpolitik, Papa Paolo VI ha licenziato Mindszenty e nominato sacerdoti sottomessi al regime. Di conseguenza, la chiesa ha perso il sostegno molto popolare tra gli ungheresi. In Romania, la chiesa ortodossa in larga misura ha collaborato con il regime comunista, anche se i pastori protestanti e i vescovi come Laszlo Tokes si sono coraggiosamente opposti al regime. In generale, direi che poiché i popoli dell’Europa dell’est sono stati negati nel diritto alla libertà religiosa per mezzo secolo, oggi rispettano di più quella libertà”.
C’è anche chi ritiene che la memoria del passato ottomano contribuisca all’opposizione di quei paesi alle quote di migranti che vorrebbe imporre loro Bruxelles. “Non tutti i paesi dell’Europa dell’est erano sotto il dominio turco”, continua al Foglio Filip Mazurczak. “Nel 1683 il re polacco Giovanni III Sobieski ha portato le forze cristiane alla vittoria sui turchi a Vienna. La maggior parte dei polacchi associa la Turchia a un luogo dove si va in vacanze. Per secoli, gli ungheresi, i rumeni, i greci e altri erano sotto il dominio turco. La battaglia del Kosovo (1389) è un evento importante nell’identità dei serbi. Gli europei centro-orientali sono ingiustamente etichettati come razzisti bigotti dai principali media liberal. I polacchi, gli ungheresi, i cechi e altri non hanno paura dell’immigrazione di massa dai paesi musulmani perché sono razzisti, ma perché vedono ciò che accade in Germania, Francia, Belgio. In questi paesi l’assimilazione e l’immigrazione degli immigrati musulmani ha fallito, e c’è stata una lunga serie di attacchi terroristici. Gli europei dell’Europa centro-orientale hanno semplicemente paura che lo stesso possa accadere a loro e non possiamo biasimarli. Non c’è dibattito sul destino tragico dei cristiani in medio oriente, che stanno affrontando un olocausto. Si dice troppo poco su questo; dunque, i rifugiati e gli immigrati cristiani dovrebbero essere privilegiati”.
"L'opposizione dell'est al multiculturalismo e alla immigrazione nasce da quanto hanno visto succedere a ovest"
Non dissimile la posizione di Pawel Ukielski, vicepresidente dell’Istituto polacco della memoria nazionale, oltre che storico all’Accademia polacca delle scienze. “L’Europa centrale e orientale durante la Guerra fredda è stata separata dall’occidente con la cortina di ferro contro la sua volontà, quindi ovviamente il suo sviluppo, anche sociale, è stato completamente diverso”, dice Ukielski al Foglio. “Le idee di sinistra che erano molto popolari in occidente dagli anni Sessanta non avevano accesso nell’Europa centrale, in quanto ideologicamente subordinata all’Unione sovietica. Dopo la caduta del comunismo, una parte dell’Europa centro-orientale si è impegnata a raggiungere i valori occidentali e a tornare a far parte della civiltà euro-atlantica. Milan Kundera lo chiamò ‘l’occidente sequestrato’. Dall’altro lato era più scettica nei confronti delle idee di sinistra, che erano e sono percepite come utopistiche e pericolose. Gli europei del centro-est vedono che l’esperimento occidentale con il multiculturalismo non ha avuto successo: le culture diverse nei paesi occidentali non coesistono pacificamente, ma spesso sono causa di disordini e tensioni con persone di altre culture che non accettano i valori europei. Pertanto molte delle società dell’Europa centrale non vedono la ragione di seguire questo cammino, percepito come sbagliato. Vogliono preservare la propria cultura, che prima era soppressa dal potere esterno. L’esperienza con l’internazionalismo comunista sovietico ha reso più scettiche le società dell’Europa centrale verso le idee internazionaliste interculturali. L’identità e il patrimonio culturale li hanno aiutati a sopravvivere alla sovietizzazione e a rimanere se stessi, a non diventare parte del popolo sovietico, quindi valorizzano l’integrità della propria cultura e del loro patrimonio”.
Come far sì allora che l’Elba torni, come dopo il 1991, a essere il punto dove i due polmoni si incontrano e respirano assieme? “L’identità europea comune non può essere definita solo come l’identità dell’Europa occidentale” conclude Ukielski. “A mio parere, questo atteggiamento è uno dei pericoli più importanti per il progetto europeo: se l’esperienza dell’Europa centrale non è inserita nella identità comune, l’occidente e l’oriente non si capiranno a vicenda e questo rischierà di mettere in pericolo l’esistenza dell’unione”.