Effetto domino? No, l'indipendentismo catalano è unico
Non accadrà a Bilbao, Bastia, Belfast, Cardiff, Bolzano o Pontida. Quello che è successo a Barcellona non può replicarsi altrove
Milano. Adesso in Catalogna come se ne esce? Che cosa farà Madrid? E Bruxelles? E il contagio? E se si estende la rivolta di chi grida “democrazia!” e nella foga mastica e inghiotte le leggi della democrazia vigente? E se tutti i separatisti d’Europa iniziano a convocare presìdi di genitori e insegnanti e pargoli in pigiamino e nonni che, seduti per terra a gambe incrociate, con cartelloni e pennarelli, “fanno cultura” e poi, dopo l’apertura dei seggi illegali, esibiscono le ecchimosi ricevute dai manganelli di uno stato che, “interpellato” da chi ne trasgredisce la Carta, qualcosa dovrà ben fare?
Mentre queste domande scandagliano un futuro incerto, bisognerebbe capire perché “questa cosa” è successa proprio in Catalogna. La risposta è semplice: l’indipendentismo catalano è ormai diverso da tutti gli altri. Per questo l’epicentro dell’illegalità referendaria è proprio a Barcellona e non a Bilbao, Bastia, Belfast, Cardiff, Bolzano o Pontida. Con una perfetta duplicazione della società, che tutti i separatismi agognano e nessuno realizza (dove sono, ad esempio, gli indipendentisti scozzesi di destra? E dove stava la sinistra della Lega nord secessionista, forse nei Comunisti padani dell’allora sbarbà Matteo Salvini?), l’indipendentismo catalano attraversa l’intero spettro politico, dal centrodestra della fu Convèrgencia i Unió (uno dei partiti più borghesi del pianeta) ai socialdemocratici romantici di Esquerra republicana de Catalunya fino alla sinistra radicale, okupa e antisistema, di quella Candidatura d’Unitat Popular che, con sublime e irresponsabile festosità cazzara, definisce “mambo” il maelstrom catalano.
E poi c’è l’idioma-simbolo: con la più aggressiva delle politiche turbolinguistiche, il catalano è stato sovvenzionato per decenni, inflitto per decreto, iniettato nelle vene di ogni scolaro, specie se espanyol, xarnec, “terrone”. Operazione efficacissima: il catalano ora scintilla tra le lingue europee in cui più e meglio si scrive, si legge, si pubblicano libri e giornali. Ed è un perno dell’indipendentismo – mentre i cattolici dell’Ulster, per esempio, in gaelico non sanno neanche ordinare una Guinness.
E questa mobilitazione permanente di milioni di cittadini? Vabbé, è il gentismo arrembante… Forse. Eppure, la richiesta di più democrazia (“Il popolo! Il popolo! Il voto! Il voto!”) che si alza dalle strade catalane non assomiglia ai click casaleggieschi e ai sudamericanismi dei tribuni di Podemos (che infatti bofonchiano spiazzati). La “democrazia dal basso” catalana si declina con metodi antiquati: le urne, le schede, i partiti, il Parlamento, quella vecchia cosa lì, che si articola sull’asse destra-sinistra.
E poi c’è una rara capacità attrattiva che diluisce le accuse di etnicismo. Nel partito di Eva Klotz – e anche nella Südtiroler Volkspartei – gli Esposito e i Russo sono pochini, mentre in Catalogna legioni di Rodríguez e di Fernández invocano la desconnexió da Madrid. E la violenza? Centinaia di morti nei Paesi baschi. Migliaia in Irlanda del Nord. Qualcuno, forse dimenticato, perfino dalle parti del Brennero. Ombre nerissime. E, a Genova come a Goteborg, a ogni foto di polizia manesca ai margini di un G7 corrisponde l’immagine di un manifestante con casco e spranga, di un bancomat divelto, di un’auto in fiamme. E qui? Molti manganelli ma, dall’altra parte, neanche una spinta né uno schiaffo, pur in un clima di acceso fanatismo. E’ una compostezza che non ha precedenti e impiomba il piatto “simpatia” sulla bilancia della propaganda. E poi di fronte ai separatisti, di solito, c’è uno stato. Qui invece c’erano i poliziotti antisommossa. Il re davanti a una rivolta indipendentista e repubblicana tace. Mentre Mariano Rajoy si rifugia in un “non c’è stato nessun referendum”.
Eppure fino a qualche anno fa l’indipendentismo catalano non era così diverso dagli altri, da quello scozzese, da quello québécois. Anzi era così banale che in caso di referendum legale i “sì” alla separazione sarebbero stati moltissimi. Il 44,7 per cento come in Scozia nel 2014. O magari addirittura il 49,42 per cento, come in Quebec nel 1995. Un’enorme minoranza. Ma in Spagna non si può fare un referendum di indipendenza. E nel frattempo (proprio per questo motivo?) il catalanismo è diventato diverso da tutti gli altri separatismi, trasformandosi in un prisma che intralcia con le sue luminescenze contraddittorie i tentativi di caricatura. Certo, è più difficile da scardinare. Ma anche più difficile da replicare altrove.
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