L'Europa vuole tassare i Big Tech, ma ottenere l'unanimità è impossibile
A rilanciare il tema, Emmanuel Macron nel suo discorso alla Sorbona. Al vaglio c'è l'idea di usare la procedura di cooperazione rafforzata e andare avanti con un gruppo di soli nove stati
Roma. “Non possiamo accettare che gli attori europei vengano tassati e gli attori internazionali non abbiano invece alcuna imposizione fiscale: le aziende digitali fanno concorrenza ai soggetti economici tradizionali che invece le tasse le pagano. Nelle nostre democrazie ci sono dei beni comuni da finanziare e tutti gli attori economici devono contribuirvi”. Così Emmanuel Macron, che martedì scorso alla Sorbona ha parlato del futuro dell’Unione Europea, ha attaccato i Big Tech, i grandi player digitali come Google, Facebook e Amazon, che eludono la tassazione per le attività economiche nei paesi europei. Secondo un report del Parlamento europeo, gli stati dell’Unione hanno perso fino a 5,4 miliardi di euro di imposte a causa dei montaggi fiscali delle aziende digitali tra il 2013 e il 2015. Google ha pagato tasse inferiori allo 0,8 per cento sul suo reddito, Facebook meno dello 0,1 per cento, Amazon addirittura non ha quasi pagato imposte: “La tassa sui profitti di Facebook al di fuori dell’Unione europea è stimata tra il 28 per cento e il 34 per cento, in Europa è considerevolmente più bassa”, si legge nel rapporto.
Il problema delle aziende digitali e della loro condotta economica contraria alle regole europee si era già posto quest’estate, quando Google era stata condannata a pagare una maximulta di 2,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel settore dello shopping online da parte della divisione antitrust della Commissione. Da qui la proposta di affrontarlo, avanzata per la prima volta dal ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire a fine agosto, che ha rapidamente guadagnato il consenso dei paesi europei più importanti, Italia, Germania e Spagna, e di Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Romania e Slovenia. In un comunicato congiunto del 16 settembre scorso, i ministri dell’Economia di questi paesi hanno ribadito che in una situazione del genere “l’efficienza economica è in gioco, come l’equità della tassazione e la sovranità nazionale”. Il principio è semplice: i giganti tech devono pagare le tasse dove generano profitti, non dove hanno sede legale.
Restano invece contrari, oltre al Lussemburgo e l’Irlanda, i principali paesi che ospitano le sedi sociali delle società tecnologiche e permettono di sfruttare fiscalità vantaggiose, anche il Regno Unito, la Danimarca, la Svezia e la Repubblica ceca. Il ministro delle Finanze danese, Kristian Jensen, ha detto che “bisogna stare molto attenti a non tassare le imprese che ci stanno portando nel futuro. L’Europa ha una tassazione già alta”. Venerdì scorso, a Tallinn, Macron ha nuovamente ammonito le compagnie digitali, “specialmente quelle anglosassoni, che non rispettano le regole del gioco”, e secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt sono cinque le opzioni che sta valutando la Commissione europea per creare un sistema efficiente. Qualunque decisione a livello europeo dev’essere approvata in modo unanime dai 28 paesi, difficile in queste condizioni. Una strada possibile è quella della procedura di cooperazione rafforzata prevista dall’articolo 20 del Trattato sull’Unione europea, scenario immaginato proprio da Emmanuel Macron durante il suo discorso, e che ha bisogno di un gruppo di soli nove stati per essere avviata. L’Europa a più velocità già esiste, è il ragionamento, chi intende andare avanti deve poterlo fare senza subire il veto degli stati che non desiderano maggiore integrazione.