La strategia "dura" di Alfano contro la Corea del nord fa acqua da tutte le parti
Lo scontro fra Trump e Tillerson, ma chi dialoga con chi?
Roma. Nella decisione del ministro degli Esteri Angelino Alfano di interrompere la procedura di accreditamento del nuovo ambasciatore nordcoreano a Roma c’è, in piccolo, anche tutto lo scontro tra la strategia del presidente americano Donald Trump e quella del segretario di stato Rex Tillerson. Da un parte c’è Trump, che smentisce spudoratamente in un tweet il capo della diplomazia di Washington: Tillerson, nemmeno una settimana fa, aveva parlato di colloqui diretti tra America e Corea del nord per ridurre la tensione internazionale, ma domenica il presidente gli ha consigliato di “non perdere tempo con Kim Jong-un” – “Essere carini con Rocket Man non ha funzionato per 25 anni. Clinton ha fallito, Bush ha fallito, Obama ha fallito. Io non voglio fallire”. Dall’altra parte c’è l’Italia e altri paesi europei alla ricerca di una politica coerente da intraprendere con la Corea del nord.
Being nice to Rocket Man hasn't worked in 25 years, why would it work now? Clinton failed, Bush failed, and Obama failed. I won't fail.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 1 ottobre 2017
In un’intervista a Daniele Bellasio domenica scorsa su Repubblica, il capo della Farnesina ha detto che “l’ambasciatore nordcoreano dovrà lasciare l’Italia. La Corea del nord ha effettuato nelle scorse settimane un ulteriore test nucleare, di potenza superiore a tutti quelli precedenti, e ha continuato con lanci di missili balistici. L’Italia, che presiede il Comitato sanzioni del Consiglio di sicurezza, chiede alla comunità internazionale di mantenere alta la pressione sul regime”. La decisione italiana arriva subito dopo quella della Spagna, primo paese europeo a dichiarare l’ambasciatore nordcoreano a Madrid “persona non grata”. In realtà il gesto simbolico di isolamento, da parte italiana, è molto meno forte di quanto possa sembrare: Mun Jong-nam non era ancora ambasciatore, ma era in attesa di presentare le sue credenziali al Quirinale. Come aveva scritto questo giornale il 30 agosto scorso, Mun era arrivato i primi giorni dello scorso settembre, dopo che l’ambasciata nordcoreana in Italia era rimasta vacante per quasi due anni, dopo la morte del precedente ambasciatore Kim Chun-guk. Sin dal febbraio del 2016, quindi, la sede diplomatica di Via dell’Esperanto era gestita dai tre funzionari e dall’incaricato d’affari Paek Song-chol.
Qualche mese fa, prima del sesto test nucleare nordcoreano, la Farnesina aveva dato il via libera alla nomina di Mun. Nel frattempo, però, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva chiesto ai paesi membri di ridurre il numero di diplomatici o addirittura di chiudere le ambasciate nordcoreane presenti nei paesi terzi, non solo per aumentare l’isolamento della Corea del nord, ma anche perché diverse inchieste giornalistiche e alcuni report delle Nazioni Unite hanno dimostrato che i cittadini con passaporto diplomatico sono spesso usati da Pyongyang per traffici poco leciti. La stampa nordcoreana aveva dato la notizia della designazione di Mun nello stesso giorno del primo missile balistico che aveva sorvolato i cieli del Giappone, il 28 agosto scorso, un modo per sottolineare la normalità dei rapporti diplomatici con gli altri membri del G7. Ma per Roma le cose si stavano mettendo piuttosto male: quando un ambasciatore designato arriva in Italia, poi deve salire al Quirinale e nella cerimonia di solito si accorpano più ambasciate. Fosse rimasto lì, Mun avrebbe incontrato Sergio Mattarella insieme con il nuovo ambasciatore americano a Roma, Lewis M. Eisenberg, e sarebbe stato un bell’incidente diplomatico. “Vogliamo far capire a Pyongyang che l’isolamento è inevitabile se non cambia strada”, ha detto Alfano a Rep. “Tuttavia, non tronchiamo le relazioni perché può essere sempre utile mantenere un canale di comunicazione”.
Utile, sì, ma l’Italia è l’unico paese a ospitare un’ambasciata nordcoreana senza che il rapporto diplomatico sia bilaterale ed equilibrato, con una sede italiana a Pyongyang. Non solo: il dialogo con gli attori della crisi da parecchio tempo è ormai lasciato al caso e a personaggi marginali, più vicini all’avanspettacolo che alla politica, il che rende più difficile adottare una strategia coerente.