Lenin Moreno e Rafael Correa (foto LaPresse)

I bisticci (da lavandaie) tra Correa e Moreno in Ecuador

Maurizio Stefanini

Dopo essere stati membri dello stesso governo per anni, ora i due uomini forti del partito Alianza País si stanno facendo una guerra a colpi bassi. Con tanto di telecamere nascoste per spiarsi

Referendum contro Costituente, Lenín Moreno contro Rafael Correa. Il 23 settembre, nel parlare a Bogotá durante un evento in commemorazione per i 150 anni della Universidad Nacional de Colombia, l’ex-presidente dell’Ecuador, leader di riferimento del socialismo del XXI secolo assieme al venezuelano Hugo Chávez e al boliviano Evo Morales, aveva annunciato la sua intenzione di tornare in campo come candidato presidenziale e come promotore di un’Assemblea nazionale costituente contro il suo successore, Lenín Moreno: “Se continuerà a distruggere quello che abbiamo costruito […] dipende dal popolo ecuadoriano non permettere un ritorno al passato”.

 

Moreno risponde convocando per dicembre un referendum con otto domande. La seconda è: “Per garantire il principio dell’alternanza è d’accordo a emendare la Costituzione della Repubblica dell’Ecuador in modo che tutte le autorità di elezione popolare possano essere rielette per una sola volta allo stesso incarico, recuperando il mandato della Costituzione di Montecristi e lasciando senza effetto la rielezione indefinita approvata mediante emendamento dall’Assemblea nazionale il 3 dicembre del 2015”. Un emendamento,m quest'ultimo citato nel quesito, che fu approvato dall’Assemblea nazionale, senza referendum, su volontà di Correa, che così aveva voluto riservarsi la possibilità di ricandidarsi nel 2021. Insomma, Costituente chiesta da Correa per scalzare Moreno; referendum indetto da Moreno per impedire il ritorno in campo di Correa.

 

La cosa da ricordare è che Moreno è stato il vicepresidente di Correa dal 2007 al 2013. In seguito andò a Ginevra a fare l’inviato speciale sull’Handicap e l’accessibilità per l’allora segretario dell’Onu, Ban Ki-moon (lui stesso è costretto alla sedia a rotelle, per una ferita subita durante un tentativo di rapina). Ma poi, quando Correa ha deciso che doveva “riposarsi dall’Ecuador e l’Ecuador da lui”. Moreno lo volle come candidato alla sua successione. Non solo: quando, dopo il primo turno, sembrò che l’opposizione potesse vincere, Correa intervenne in modo attivo nella campagna per assicurarsi che Moreno ce la facesse. Ci riuscì e, come preannunciato, andò a godersi qualche anno di riposo “sabbatico” in Belgio, il paese di sua moglie. Ma non appena si fu insediato il 24 maggio, Moreno disse subito: “Le decisioni le prenderò io, col mio stile”. L’inizio della distensione con opposizioni, stampa e imprenditori segnò subito una marcata presa di distanza dal suo predecessore, ma solo implicita. Il dissenso venne apertamente alla luce a luglio, quando Moreno consegnò “per 100 anni” una sede alla Conaie: organizzazione indigenista che all’inizio aveva appoggiato Correa, ma con cui presto era venuta ai ferri corti. Famoso per il suo stile aggressivo, l’ex-presidente aveva detto del suo ex delfino: “Non solo è sleale, è mediocre”. Risposta tagliente: “Correa soffre di crisi di astinenza dal potere”.

 

È stato l’inizio di un’escalation. “Mi ha lasciato una situazione economica disastrosa”, ha detto Moreno, che poi ha tolto tutti i poteri a Jorge Glas, un vicepresidente che invece a Correa era rimasto fedelissimo, ed è è finito coinvolto nello scandalo Odebrecht. Scatenato sulle reti sociali, Correa ha accusato Moreno di usare la giustizia contro i suoi fedelissimi. Moreno ha risposto che era stato il Consiglio di Partecipazione cittadina e Controllo sociale imposto da Correa sul sistema giudiziario secondo il modello chavista a permettere che la corruzione dilagasse (e su questo Consiglio verte un’altra delle otto domande del referendum). Dopo le polemiche dimissioni di tre importanti consiglieri vicini a Correa, il 16 settembre Moreno ha clamorosamente accusato il suo predecessore di averlo spiato. “Da sette o otto anni c’era nell’ufficio del presidente una telecamera che sorvegliava tutto dal suo cellulare, e non me l’aveva detto”, ha denunciato in tv, visibilmente furibondo. “Se riesce a provarlo mi metta in carcere. Se no rinunci alla presidenza, non per malvagio ma per ridicolo!”, gli ha risposto altrettanto furibondo Correa.

 

Lunedì sulla stampa è apparso un dossier secondo cui Correa, il protettore di Assange, avrebbe speso 44,4 milioni di dollari per fare spiare dalla Secretaría Nacional de Inteligencia (Senain) centinaia di persone: non solo il suo successore, ma anche giornalisti, imprenditori, organizzazioni sociali, indigeni, blogger, perfino i suoi stessi ministri. Pochi dubbi su chi possa essere stato a filtrare i documenti. E martedì Glas è stato arrestato, anche se continua formalmente a mantenere la carica. Secondo un pentito brasiliano, la Odebrecht gli avrebbe versato mazzette per 14 milioni di dollari. “Un uomo onesto ha perduto la sua libertà. Il mondo tremi”, ha commentato Correa via Twitter.

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