Indipendenza ritoccata
Le foto taroccate degli scontri in Catalogna confermano che lo spezzone di verità che ci tocca viene dalla testimonianza, dalla memoria e dal pregiudizio. Tre attrezzi che nessuna immagine istantanea potrà mai sostituire
Il popolo fotografato, come notava Eugenio Cau nelle sue cronache dal vero della rivolta di Barcellona, è bello e suscita entusiasmo contagioso. La rivolta urbana viene direttamente da due secoli fa, con il suo carico romantico senza puntocom, senza strass. Era l’epoca in cui non si facevano chiacchiere sulla società aperta e multiculturale, si elevavano anzi muri stradali, le barricate, si tracciavano confini nazionali, si faceva l’apologia della bandiera come eroismo esclusivo e benedicente, si procedeva di vittoria in sconfitta sempre avendo come metro di misura la fatalità dei confini e l’immensa memoria dei popoli. Qualcosa non torna se i romantici puntocom dell’associazionismo civile separatista e il loro circo mediatico-indipendentista hanno dovuto ritoccare le fotografie, aggiungere qui e là una bandiera che non c’era per ottenere l’effetto Iwo Jima, mostrare la crudeltà della Guardia Civil in episodi che vanno retrodatati e non riguardano i seggi illegali del referendum ma vecchi album di qualche anno fa. Perline di strass, decorazioni scintillanti e sospette.
Una delle immagini modificate che gira molto online. La bandiera catalana è stata aggiunta in seguito
“La fotografia è diventata uno dei principali meccanismi per provare qualcosa, per dare una sembianza di partecipazione”, scriveva negli anni Settanta la letterata americana Susan Sontag, e la fotografia fu un’arma potente nelle mani dei viet-cong e dell’altra America nemica della Guerra fredda e delle sue leggi. Che cosa vuole provare il ritocco? Che tipo di partecipazione è richiesta dalle foto di strada ricombinate e da quelle per così dire “autentiche”?
Non ne avrebbero bisogno in teoria. Sono tanti. Sono bene organizzati. Forse sono una minoranza rumorosa e cantante, forse sono maggioranza regionale, in specie quando si mobilitano contro un sopruso centralista del gobierno e del rey, comunque poi la pensino sulla secessione: sta di fatto che dettano legge. Il ritocco serve a conferire quel che è necessario a questa ondata indipendentista e al suo referendum a tradimento, l’aura di leggenda che la evocazione dell’assedio di Barcellona del 1714 non era sufficiente a diffondere, in particolare per le nuove generazioni della rete e dei selfie, nonostante i buoni uffici di Piqué. La faccenda non riguarda solo loro. Riguarda nel profondo il nostro modo di ragionare, sempre, quando si parla di corruzione, di diseguaglianza, di miseria, di lusso, di guerra, di migrazioni, di bene e di male. Il turismo paesaggistico di anime e popoli e società tende a farsi infinito e a moltiplicarsi in immagini o scatti che incidono, simbolizzano, traumatizzano, correggono, fanno dettato emozionale e ideologico, fanno credo, e restano, impongono un certo modo di partecipare alla cosa e provano qualcosa che nessuno di noi in realtà sa che cosa sia. Dello stato di diritto, che è concetto e prassi, difficile fare immagine, testimoniare e provare. Resta solo l’incappucciato della Guardia Civil.
Quando nacque questo giornale, che in anticipo sui tempi provava a essere contro i tempi, unico punto d’onore rimasto nel giornalismo contemporaneo, non avevamo firme (poi si fanno compromessi, ovvio) e non avevamo fotografie (poi si fanno compromessi, ovvio). Una volta vennero da non ricordo quale procura a chiedere di ispezionare, in seguito a una qualche bislacca querela, il nostro archivio fotografico, e rispondemmo di guardarsi il giornale, foto non ce n’erano. Ecco come facemmo noi quando pensammo di fare l’opposto di quanto era in commercio. E la fotografia era in origine una questione centrale. Come lo sono oggi i video, i selfie, Instagram, e i ritocchi di ogni genere che subiamo con malizia, sapendo che il dovere massimo, supremo, è quello di non credere a ciò che si vede, specie in fotografia, perché lo spezzone di verità che ci tocca viene dalla testimonianza, dalla memoria e dal pregiudizio, tre attrezzi che nessuna immagine istantanea, fatalmente a-linguistica, potrà mai sostituire. Così il popolo fotografato a noi, senza nemmeno bisogno di dircelo, non ha fatto questa poi così grande impressione. Iwo Jima sarà per un’altra volta.