Las Vegas e la paura del nulla
Né raptus né politica né religione, in che categoria mettiamo questa strage per resistere al terrore?
La paura ha bisogno di punti di riferimento per venire addomesticata. Paura del buio, paura dell’aereo, dei ladri, paura dell’Isis, paura degli antisemiti, degli omofobi, paura di chi ci considera nemici. Questa volta, a Las Vegas, di chi dobbiamo avere paura? Dove possiamo incasellare la strage al concerto di musica country? Per un attimo abbiamo quasi creduto alla strana conversione all’islam di Stephen Paddock: in un certo senso immaginare che avesse ucciso cinquantanove persone urlando Allahu Akhbar poteva non tranquillizzarci ma aiutare a infilare questo ultimo gigantesco atto di violenza in una categoria conosciuta, determinabile. Una definizione del delirio, una definizione degli obiettivi, delle vittime. Invece non sappiamo perché Stephen Paddock, ricco, in pensione, bianco, senza figli, divorziato, che viveva da poco più di un anno in una comunità per over cinquantacinquenni benestanti, nel sobborgo di Mesquite, a meno di cento chilometri a nord di Las Vegas, abbia deciso di fare una strage. Non sappiamo nemmeno se odiasse e perché la folla riunita per il concerto di musica country, simile ai concerti a cui, secondo il fratello Eric, Stephen Paddock era abituato ad andare nella sua vita comoda, anonima, tranquilla. Non è stato un raptus, Paddock ha portato con sé ventitré armi da fuoco in dieci valigie, una grande quantità di munizioni, un martello per rompere i vetri sigillati, ha perfino piazzato una telecamera nel corridoio e ha scelto una stanza adatta a diverse opzioni di sparatorie. Ha sparato anche ai poliziotti attraverso la porta della stanza d’albergo, prima di uccidersi. Non si è travestito da Joker per sparare dentro un cinema: il suo male, quello di cui ha parlato subito Donald Trump, “un folle pieno di problemi, un individuo molto malato”, non è immediatamente definibile, il suo profilo ci sfugge, ci provoca il terrore del nulla. Un uomo benestante, addirittura milionario secondo il fratello, con una casa pulita e in ordine, che se la spassava a Las Vegas e che ha sparato su ventiduemila persone con il preciso intento di ucciderne il più possibile, modificando le armi in mitragliatori per aumentare i colpi, per colpire a raffica, per fare il suo record, per sterminare chissà chi. L’umanità, probabilmente. Senza rintracciabili motivazioni politiche o religiose, “non era assolutamente un fissato”, discepolo del nulla o di qualcosa chiuso dentro la sua testa che la compagna (era in Australia mentre Paddock trascinava un intero arsenale dentro una camera d’albergo) adesso dovrà spiegare. Non aveva precedenti penali e secondo il fratello non aveva mai conosciuto il padre, uno dei maggiori ricercati dall’Fbi negli anni Settanta, pericoloso criminale psicopatico (la madre ha cresciuto i tre figli da sola, spostandosi spesso e raccontando che il padre era morto). Il padre di Paddock aveva una definizione, stava dentro una casella, il figlio sembrava essere un arrogante solitario qualunque.
Quelle poche terribili foto
Di questa strage abbiamo poche terribili foto, ragazze coperte di sangue sdraiate a terra fra lattine schiacciate, bicchieri di carta e bottiglie, e video di gente che fugge e cerca riparo, rumore di mitragliatori, e un elenco impressionante di armi. Nell’auto di Paddock è stato ritrovato anche nitrato di ammonio, che si usa per costruire bombe. A casa altre diciannove armi e parecchie migliaia di munizioni, due piccoli aerei, una licenza da pilota. Nei casinò del Nevada Paddock era piuttosto conosciuto, giocava ai video poker, gli piaceva vivere in albergo. Vogliamo più dettagli possibile su quest’uomo, capire perché, vogliamo metterlo in una categoria precisa di assassini, di stragisti, di pazzi fucilatori: non ci sembra abbastanza folle, né abbastanza psicopatico. Da quanto tempo raccoglieva armi e munizioni per questo carnage? Senza una definizione, la paura del nulla fa ancora più paura.