Ormai la Catalogna è in stallo, solo Rajoy ha un'uscita (dolorosa)
Il premier potrebbe decidersi ad applicare l’articolo 155 della Costituzione, eliminare l’autonomia della regione e destituire i suoi leader
Roma. Dopo i giorni difficilissimi del referendum, in Catalogna il processo indipendentista è tornato a essere una partita a scacchi di volontà politiche, mobilitazioni di piazza e sfide allo stato di diritto. Entrambi i contendenti, lo stato spagnolo e il governo locale della Catalogna, sembrano paralizzati davanti all’ottusità dell’avversario, ma divergono per una condizione fondamentale: solo uno dei due ha a disposizione un’uscita di emergenza. Carles Puidgemont ha ormai solo una possibilità davanti a sé: fare la Diu, la Dichiarazione unilaterale di indipendenza, come previsto dalla Legge sul referendum che lui stesso ha fatto approvare, e andare avanti con un piano che nessuno tranne lui, probabilmente, pensava sarebbe arrivato a uno stadio così avanzato.
Puigdemont l’ha ribadito in un “discorso istituzionale” che inizialmente avrebbe dovuto pronunciare alle 12 ma che poi ha rimandato alle 21: lo stesso orario in cui, il giorno precedente, re Felipe ha parlato alla nazione con toni durissimi definendo il comportamento del governo catalano un atto di “slealtà inaccettabile” e chiedendo allo stato spagnolo di prendere le misure necessarie per preservare l’unità nazionale e l’ordine costituzionale. Puigdemont ha posticipato il suo discorso forse per amore di simbolismo, ma probabilmente perché all’interno del Palau de la Generalitat continuano i contrasti interni che i giornali spagnoli hanno riportato fin dalle prime ore dopo il voto di domenica. Perché se è vero che l’unica strada possibile per Puigdemont è annunciare la Dui, i tempi e i modi possono variare.
Le frange più arrabbiate del movimento indipendentista (gli attivisti dell’Anc e di Òmnium, veri padroni del processo secessionista, e il partito veterocomunista Cup) premono per lo scontro definitivo. Il loro motto ormai è “mobilitazione, mobilitazione, mobilitazione”, e prevede una strategia in stile Maidan: annunciare la Dui, occupare le piazze e le strade in modo permanente e attendere mentre ogni manganellata della Guardia civil sui manifestanti fa aumentare l’indignazione internazionale nei confronti del governo di Mariano Rajoy. La fazione più moderata invece è consapevole dei rischi di questa strategia, e ancora spera nell’aiuto esterno: nell’intervento di un attore terzo che possa dare il via a un processo negoziale in cui gli indipendentisti hanno tutto da guadagnare, anzitutto in autorevolezza internazionale. L’Europa sarebbe l’arbitro perfetto, ma ieri il Playbook di Politico.eu compilava una lista di possibili “mediatori” che potrebbero essere chiamati a dirimere la questione. Ci sono i nomi soliti, da Tony Blair a Federica Mogherini, ma è altamente improbabile che un mediatore così alla fine sia nominato, trasformando la questione catalana alla stregua di un conflitto mediorientale: Madrid perderebbe la faccia e, più di ogni altra cosa, darebbe dignità nazionale ai catalani, cosa che Rajoy non può permettersi. L’ultimo tentativo di mediazione, ieri, è stato quello di Pablo Iglesias, leader di Podemos, che ha chiesto alle parti di mettersi intorno a un tavolo da pari a pari, ma Rajoy ha rifiutato dicendo che non ci sarà dialogo finché i leader catalani non rinunceranno del tutto al loro intento secessionista.
Così, alla fine, Puigdemont sarà condannato alla Dui. Ieri le due forze politiche secessioniste che detengono la maggioranza al Parlament di Barcellona – vale a dire Junts Pel Sí, la coalizione di Puigdemont, e la Cup – hanno indetto una riunione plenaria dell’Aula convocando Puigdemont a “parlare dei risultati e degli effetti del referendum”. Secondo l’esponente della Cup Mireia Boya, sarà quello il momento in cui l’indipendenza sarà infine dichiarata.
Sembra una svolta, ma in realtà è l’impasse, perché senza sostegno internazionale e senza riconoscimento legale l’eventuale stato catalano non avrebbe possibilità di sopravvivere.
Così è ormai chiaro quale delle due parti ha a disposizione un’uscita di emergenza: dopo il discorso del re, e in mezzo alle continue esortazioni di Albert Rivera di Ciudadanos, Rajoy potrebbe infine decidersi ad applicare l’articolo 155 della Costituzione, a eliminare l’autonomia della regione e a destituire i suoi leader. Sarebbe un’opzione durissima, che avvelenerà per decenni le relazioni tra Madrid e Barcellona, ma il rischio più grande del processo referendario, ormai, è che lo stallo unito alla mobilitazione permanente degli estremisti generi una specie di indipendenza di fatto, in cui un intervento dello stato spagnolo diventa di giorno in giorno più difficile.