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Al Congresso cinese tutti si chiedono: e il delfino di Xi?

Eugenio Cau

Da quando Pechino sta diventando sempre più importante, quello che accadrà il 18 ottobre non è solo una questione cinese

Roma. C’è stato un tempo in cui i Congressi del Partito comunista cinese erano considerati come una questione da appassionati di Pechinologia. Difficili da comprendere, dotati di un cerimoniale elaborato che lasciava tutti gli esperti a leggere le foglie di tè della burocrazia comunista, erano un affare per specialisti. Ma più l’importanza della Cina negli affari del mondo si è fatta rilevante più l’interesse per queste grandi cerimonie quinquennali in cui la leadership del Partito comunista si rinnova parzialmente o totalmente è aumentato, e adesso c’è quasi ansia nel conoscere i risultati del prossimo Congresso, il 19esimo, che inizierà il 18 ottobre. Non che le cose siano cambiate: i Congressi del Pcc sono ancora oscuri e composti di cerimonie astruse che anche i più esperti faticano a comprendere. Ci si affida ancora all’interpretazione di segnali aleatori.

 

Ma a questo Congresso è molto importante leggere bene le foglie di tè, per più di un motivo. Il 19esimo Congresso è quello di “mid-term” per il presidente Xi Jinping. Il suo ruolo non è in discussione, ma intorno a lui tutto potrebbe cambiare. Saranno rinnovati il Politburo, organo da 25 membri, e il suo Comitato permanente, vale a dire il gruppo di sette persone (ma il numero può variare) che guida a tutti gli effetti le politiche della Cina, oltre alla Commissione militare e alla Commissione anticorruzione, organi potenti e politicamente centrali. Sarà un Congresso speciale perché Xi Jinping è considerato il leader cinese più potente dai tempi di Mao, e qualcuno sospetta che potrebbe ripercorrere le orme del suo illustre predecessore. Potrebbe non rispettare le regole non scritte del Partito, e contravvenire alla norma della pensione anticipata per i leader sopra ai 68 anni mantenendo nel Comitato permanente il suo alleato Wang Qishan, che di anni ne ha 69.

 

Ma soprattutto, il Congresso di mid-term è quello in cui di solito appare la figura del delfino, vale a dire di qualche “giovane” (cinquantenne) politico della generazione successiva che viene elevato al Comitato permanente per essere svezzato e diventare leader del Partito e della nazione cinque anni dopo. Di solito, i nomi dei papabili iniziano a circolare con ampio anticipo, ma quest’anno sono sparuti e poco convincenti. C’è Chen Min’er, capo del Partito a Chongqing, che però non è ancora nemmeno nel Politburo. Hu Chunhua è il capo del Partito del Guangdong ma era prediletto dall’ex presidente Hu Jintao: Xi lo ama meno. Uno dei favoriti assoluti, Sun Zhengcai, è stato espulso giusto a luglio per corruzione. Davanti a tutti questi elementi, gli esperti hanno iniziato a chiedersi: ma Xi lo vuole davvero un delfino?

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.