Com'è che Abe è accerchiato da tanti guastafeste
Il premier giapponese va al voto il 22 ottobre ma ha parecchi guai e rivali (occhio a SuperKoike)
Roma. Finora le elezioni anticipate indette dal primo ministro giapponese Shinzo Abe con più di un anno di anticipo hanno dimostrato una cosa: gli azzardi, in politica, non sempre pagano. Una serie di scandali che aveva colpito lui e sua moglie Akie (alcuni amici di famiglia avrebbero avuto raccomandazioni speciali) negli ultimi mesi aveva fatto crollare il gradimento di Abe ai minimi. Un bel problema, per l’uomo che nel 2012 era stato eletto a larghissima maggioranza e aveva avuto il grande merito di regalare al Giappone un po’ di stabilità politica, dopo anni di continui cambiamenti. I consensi di Abe, sempre da record, iniziavano a calare. Poi, però, a risolvere un po’ le cose ci avevano pensato Donald Trump e le provocazioni nordcoreane. Dopo i due missili balistici che hanno sorvolato l’isola di Hokkaido, l’estremo nord del Giappone, la risposta di Abe è stata ferma e decisa. Come da manuale di teoria politica, l’emergenza ha fatto gioco al governo per tornare a insistere su una delle promesse elettorali di Shinzo Abe, ovvero la riforma dell’articolo 9 della Costituzione. La Difesa prima di tutto. E in un momento in cui la Casa Bianca manda segnali contraddittori e la Corea del sud cerca il dialogo con Pyongyang, gran parte dell’opinione pubblica nipponica è tornata ad apprezzare un leader forte, capace di dare risposte. E’ per questo che, nonostante la larghissima maggioranza di cui il Partito liberal-democratico (Ldp) guidato da Shinzo Abe gode alla Camera bassa, il 22 ottobre prossimo si tornerà a votare.
Il primo ministro ha giustificato la forzatura dicendo di volere un nuovo mandato su un pacchetto di stimoli fiscali che andranno a finanziare istruzione e assistenza sanitaria, e naturalmente le sue politiche di sicurezza. Il timing sembrava perfetto, perché all’orizzonte l’opposizione era lontanissima: il Partito democratico, principale formazione – diciamo così – di centrosinistra, è ormai definito da più parti un partito “defunto”. Ha cambiato diversi leader sin dalla sconfitta del 2012, e nessuno che sia riuscito finora a rimettere insieme i cocci di varie correnti e anime. Insomma, quando Shinzo Abe ha deciso di indire nuove elezioni, pensava di avere campo libero. E invece è arrivata Yuriko Koike.
In un primo momento era stata presentata dalla stampa internazionale come una “novità” sulla scena politica nipponica, ma soprattutto come un elemento opposto al conservatorismo di Abe: in realtà la Koike è una politica di lungo corso, con posizioni conservatrici e nazionaliste. Si è laureata al Cairo e ha fatto studi da arabista prima di diventare giornalista. E’ stata ministro dell’Ambiente nel governo di Junichiro Koizumi e ministro della Difesa del primo governo di Shinzo Abe nel 2007. Soprattutto, è membro “senior” della lobby Nippon Kaigi, la stessa di cui fa parte Abe. Nel 2008 aveva tentato la scalata alla leadership del Ldp, ma fu battuta da Taro Aso, attuale ministro delle Finanze. La svolta è arrivata con le elezioni della prefettura di Tokyo, nell’estate del 2016. Koike si è messa in testa di diventare governatore della capitale. Si è dimessa da parlamentare per iniziare la campagna elettorale, ma improvvisamente il Partito liberal-democratico di Shinzo Abe le ha dato il benservito, sostenendo un altro candidato. Koike ha deciso di correre lo stesso, da sola. E ha vinto. La spallata alla maggioranza però è arrivata nel maggio scorso, quando ci sono state le elezioni per il parlamentino di Tokyo: il partito locale fondato dalla Koike, Tomin First (vuol dire “i cittadini di Tokyo first”), in alleanza con il partito Komeito – partito che al Parlamento centrale è alleato con il Ldp –, ha vinto la maggior parte dei seggi e marginalizzato il partito di Shinzo Abe.
Visto l’inaspettato successo di una piattaforma conservatrice e piuttosto populista, Koike si è convinta a creare una nuova formazione nazionale. Per lanciarla, ha indetto una conferenza stampa soltanto due ore prima di quella in cui Shinzo Abe avrebbe annunciato le elezioni. Così è nato Kibo no To, il Partito della speranza, che in una settimana ha definitivamente distrutto il Partito democratico. Poche ore dopo il lancio della nuova formazione, una decina di parlamentari di spicco del centrosinistra giapponese hanno deciso di passare al Partito della speranza, tanto da costringere Seiji Maehara, leader del Pd, ad annunciare che il suo partito non presenterà candidati alle elezioni del 22 ottobre e chiederà ai suoi parlamentari di passare con la Koike – la quale, a sua volta, ha detto che “valuterà” caso per caso.
Ma il punto resta uno: come fa il centrosinistra ad allearsi e magari governare con una formazione che esplicitamente si richiama a un conservatorismo riformista, ma pur sempre di destra? Dov’è finita la sinistra giapponese? Per evitare un bipolarismo così tanto sbilanciato verso il conservatorismo, lunedì scorso il vicecapo dell’ex Pd, Yukio Edano – un volto della politica giapponese che abbiamo imparato a conoscere perfino noi, perché era capo di gabinetto durante il governo di Naoto Kan e la crisi di Fukushima del 2011, ed era quindi lui a condurre le conferenze stampa nei giorni del disastro – ha deciso di scendere in campo. Dai resti del centrosinistra giapponese ha creato un nuovo – l’ennesimo – partito, che si chiama Partito costituzionale del Giappone (Rikken Minshutō) e che mira a prendere i voti dei moderati e dei liberali. Al momento sembra la formazione più convincente, e il suo profilo Twitter, appena creato, ha conquistato più follower del Partito liberal-democratico. Edano punta a conquistare “almeno 50 seggi” alla Camera bassa il 22 ottobre prossimo, ma diversi analisti sui media nipponici dubitano che il Partito della Costituzione possa conquistare credibilità sufficiente in così poco tempo. Sebastian Maslow, docente di Scienze politiche all’Università di Kobe, intervistato su Quartz, giorni fa notava come “l’unica forza politica credibile di sinistra e in opposizione con la riforma costituzionale”, attualmente, sia il Partito comunista nipponico (Jcp) che sin dal 2014 ha ricominciato a crescere e anche alle ultime elezioni locali di Tokyo ha più che raddoppiato i suoi seggi.