Rajoy fa il sordo per non cadere nella trappola delle concessioni
Siamo sicuri che il presidente del governo spagnolo stia sbagliando tutto nella gestione della crisi catalana?
Roma. Siamo sicuri che Mariano Rajoy stia sbagliando tutto nella gestione della crisi catalana? Che far cuocere gli indipendentisti nel loro brodo sia imitare gli struzzi quando infilano la testa sotto la sabbia? Ieri le forze indipendentiste hanno fissato una nuova data per il plenum del Parlament di Barcellona: sarà martedì, dopo che la seduta di lunedì era stata sospesa dal tribunale costituzionale, e potrebbe essere quello il momento in cui si celebrerà la dichiarazione unilaterale di indipendenza.
Il capo di Ciudadanos, Alberto Rivera, alleato di governo, è tornato a chiedere l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione che permetterebbe la convocazione d’imperio di nuove elezioni in Catalogna per poi avere, spera lui, nuovi interlocutori politici per Madrid. Rajoy ha risposto che non lo farà, perché mancano i presupposti giuridici per far scattare il 155. Non si vogliono far mettere fretta, alla Moncloa.
Perché mai dovrebbe essere un errore da parte di Rajoy non accettare di cadere nella trappola delle concessioni successive alla quale la provocazione di Carles Puigdemont cerca di costringerlo? Il presidente del governo catalano ha scelto da settimane di giocarsi il tutto per tutto, incluso il futuro immediato della Catalogna, come fosse roba sua, puntando sulla vecchia tattica movimentista del mettere l’avversario di fronte a una situazione di fatto: strappargli il consenso a misurarsi su un piano fino al giorno prima negato. Per poi andare avanti a piccoli, rapidi passi. Fino a portare la partita tutta nel proprio terreno di gioco. Nella speranza di riuscire a far suonare come ragionevole alle orecchie dell’opinione pubblica internazionale la richiesta: “E allora fatecelo fare un referendum legale, se questo è illegale”.
È a questo che punta Barcellona. Non si vede perché tale pretesa dovrebbe essere trattata come un diritto, visto che la Costituzione spagnola non lo prevede. Rajoy non c’è cascato. “No dar cancha al enemigo”, non dar corda all’avversario, è la posizione del presidente del governo spagnolo. Che sarà pure grigio e senza carisma, ma non è scemo. Non accettare la provocazione degli indipendentisti è quanto meno un’opzione possibile, da parte sua, se non saggia. Perché dovrebbe essere necessariamente un errore, invece, il suo rimanere sordo al tentativo degli indipendentisti catalani di imporre una repubblichetta a loro misura, dentro una monarchia costituzionale, al resto dei cittadini catalani non smaniosi di indipendenza che sembrano essere tra l’altro la maggioranza?
Certo che non è il massimo del marketing politico, da parte di Rajoy, spedire la Guardia civil a manganellare gente che sta votando, pur se si trattava di un referendum illegale. Certo che appare ridicola la divisa nera che rappresenta lo stato quando si presenta in assetto antisommossa per portarsi via urne di plastica comprate su Alibaba. E l’annuncio di ieri del ministero dell’Interno di mantenere la polizia dispiegata in Catalogna fino perlomeno al 18 ottobre non distende gli animi.
Ma perché dovrebbe essere la principale preoccupazione di Rajoy non essere accusato di avere la mano pesante, quando è il capo di un governo di un paese complesso dove molti, cominciando dai non pochi andalusi, godrebbero a vedere potata l’esuberanza indipendentista di una certa Catalogna? Rajoy ha scelto di stare fermo. Di costringere Barcellona a fare le sue mosse, per poi avere tutto l’agio di usare la forza per reprimerle. Aspetta di accumulare dalla sua parte una lista di ragioni in punto di diritto che gli permettano di prendere misure eccezionali. Non vuole trattare con loro perché spera di costringerli alla resa. Il governo spagnolo rivendica il diritto di esercitare la forza. Il problema di Rajoy semmai è il Psoe: il governo che presiede è di minoranza, ha bisogno della non ostilità dei socialisti per non cadere.