Una nube gravita su Weinstein, il produttore più chiacchierato di Hollywood
Sesso, cinema, potere: "Una storia così bella che vorrei i diritti"
New York. Harvey Weinstein, il produttore che trasforma tutto quel che tocca in Oscar, ha patteggiato in otto casi per accuse di molestie sessuali da parte di dipendenti, attrici e modelle. Un’inchiesta del New York Times pubblicata ieri ripercorre in modo meticoloso tutti i casi in cui il chiacchierato produttore ha molestato qualcuno, a partire da quella volta, vent’anni fa, in cui ha ricevuto Ashley Judd nella sua camera d’albergo e le ha chiesto se poteva farle un massaggio. Weinstein è andato vicino a un’ammissione di colpa: “Riconosco che il modo in cui mi sono comportato nel passato con le colleghe ha causato molto dolore, e mi scuso sinceramente per questo. Benché stia cercando di migliorare, so che la strada è ancora lunga”. Si spiega così perché negli ultimi tempi aveva assunto una squadra di formidabili avvocati per mettere a punto la sua difesa. Jodi Kantor, giornalista d’inchiesta del New York Times che da ultimo ha dato grattacapi ad Amazon raccontando la sua spietata cultura del lavoro, si era messa a scavare assieme alla collega Megan Twohey nella vita turbolenta di Weinstein, uno che ha la fama – ben coltivata – di essere un bastardo arrogante di quelli che soltanto Hollywood e New York sanno sfornare. Lei è un distillato delle due culture. In una memorabile ricognizione del suo delirio di onnipotenza pubblicata alla fine del 2001, David Carr aveva scritto che “l’11 settembre ha cambiato tutto. Beh, quasi tutto. Prima che ground zero diventasse ground zero, Harvey Weinstein era ground zero”. Ma non c’è soltanto la personalità spericolata, eccessiva del produttore al centro di unachiesta giornalistica, ma si tratta di quello che qualche anno fa la cronista del New York magazine Jennifer Senior ha definito un “despicable open secret”. Il segreto di pulcinella aveva a che fare, naturalmente, con le molestie sessuali.
Da anni girano storie leggendarie sui casting di Weinstein sul divano, organizzati il venerdì sera, quando gli uffici della Weinstein Co. sono deserti, e da tempo nell’ambiente del cinema circola un’aneddotica codificata sul genere di proposte che il potente produttore, divorziato e poi risposato con la ex modella e designer Georgina Chapman, fa alle giovani attrici. E anche quelle affermate in certo occasioni si sono lasciate sfuggire qualche riferimento obliquo al suo modus operandi. Gwyneth Paltrow ha detto che Weinstein “mi ha chiesto certi favori che non equivalevano proprio allo sfruttamento, ma erano più vantaggiosi per lui che per me”. Ora il New York Times è riuscito a raccogliere le testimonianze di varie vittime di Weinstein, con nomi e cognomi. E non è il solo. Il New Yorker ha affidato il compito di indagare a Ronan Farrow, attivista e scrittore che non si è fatto il minimo problema a condurre una battaglia contro suo padre, Woody Allen, accusandolo di avere molestato la sorella quando aveva sette anni. Si dirà che è l’ennesima bolla hollywoodiana che si concluderà in un “così fan tutti” senza conseguenze, ma intanto il profilo degli avvocati assunti da Weinstein ha fatto alzare molte sopracciglia. Accanto a David Boies, legale storico, ora c’è anche Lisa Bloom, la figlia di Gloria Allred, che è specializzata nei casi di molestia sessuale. Solitamente difende le vittime dei potenti (è stata lei a portare alla caduta Bill O’Reilly di Fox News), ma è in una posizione strategica per gestire questi casi. L’altro membro del team è Charles Harder, l’avvocato che ha rappresentato Hulk Hogan contro Gawker, colpevole di aver diffuso un sex tape. Grazie all’ingente finanziamento di Peter Thiel, l’ex wrestler ha stravinto la causa e il giornale di gossip ha chiuso. Prima che uscisse l’inchiesta, i legali avevano diramato un messaggio sbruffone per conto di Weinstein: “Questa storia è così bella che vorrei comprare i diritti”. Dopo la pubblicazione il tono è cambiato.