Bachir lo sbruffone
Un estremista algerino ha bucato i nostri controlli di sicurezza. Un test che poteva finire peggio
Roma. La storia dell’espulso algerino Bachir Hadjadj è passata in fretta tra le notizie italiane, ma contiene molti dettagli interessanti sullo stato della sicurezza antiterrorismo in Europa. Premessa, sono passati quasi due anni dalla strage della notte del 13 novembre a Parigi eseguita da un gruppo di fuoco dello Stato islamico che era arrivato da fuori e tutti i servizi di sicurezza dei paesi europei lavorano a rendere il continente meno esposto alle infiltrazioni dall’esterno. Giovedì i carabinieri hanno preso Hadjadj alla stazione Termini di Roma, dopo che la ex moglie belga aveva avvertito le autorità che stava per commettere un attacco. Un collega belga ha intervistato la donna di 29 anni, che indicheremo con il nome finto “Sofie”, e ha passato la testimonianza al Foglio. “Circa una settimana fa, ho visto una chiamata persa sul mio cellulare da un numero italiano, credevo fosse un errore. Poi un conoscente mi ha detto che Bachir era arrivato in Italia. Allora ho richiamato il numero per chiedere cosa voleva da me. Era arrabbiato e mi ha minacciato. Mi ha detto che stava arrivando in Belgio per prendere suo figlio. Ma prima aveva da fare un lavoro in Italia con tre amici. Quando gli ho chiesto cosa voleva dire, mi ha risposto ‘una cosa grave, se non mi credi guarda i telegiornali’”.
Sofie ha avvisato subito la polizia belga. Questo ruolo da informatrice della donna non era una novità. Ha conosciuto l’algerino in un night club sulla costa belga dove lei lavorava, sono stati assieme per tre anni durante i quali lui è andato in prigione tre volte per reati legati al traffico di droga. Quando si sono separati Sofie ha continuato a visitarlo in carcere una volta al mese assieme al figlio di quattro anni e la polizia ha cominciato a chiederle informazioni sui colloqui, perché l’ex partner in cella si era radicalizzato, era diventato un estremista islamico e festeggiava ogni notizia di attentato. L’8 maggio il Belgio ha espulso Hajdajd e lo ha imbarcato su un volo per l’Algeria, ma a fine luglio lui ha pubblicato sulla sua pagina facebook (aggiornata ieri, dopo l’espulsione dall’Italia avvenuta sabato) una foto in cui dice di essere a Barcellona, di nuovo in Europa. Può sembrare una sbruffonata, ma il 24 settembre l’algerino ha preso – come fanno molti altri – un barchino dall’Algeria, è arrivato sulla costa sarda e il 1 ottobre ha di nuovo pubblicato una foto dal porto di Cagliari, dove si stava per imbarcare su un traghetto Tirrenia per raggiungere Civitavecchia e poi Roma. Se dice la verità, è riuscito a tornare in Europa due volte in cinque mesi senza mai dover far vedere il passaporto – che ovviamente avrebbe fatto scattare l’allarme. Il viaggio di Hajdajd e la sua espulsione possono essere considerati un grande test per la sicurezza europea e non è andato benissimo. Il fatto che abbia parlato al telefono con la moglie e che abbia menzionato un “dopo” fanno capire che il livello di minaccia non era alto, altrimenti avrebbe tenuto un profilo decisamente più discreto. Ma il punto è che un espulso per estremismo dal Belgio – la centrale europea dei problemi di terrorismo – non dovrebbe riuscire a spostarsi dall’Algeria a Roma Termini mentre pubblica le foto delle tappe su Facebook. All’inizio di settembre il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è stato in Algeria per risolvere il problema di una rotta per l’Europa che potrebbe essere sfruttata da elementi più pericolosi.
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