La Russia ci batte al nostro gioco
Perché siamo così in ritardo a capire cosa hanno fatto i russi con Google, Facebook e Twitter
Roma. Con lo scoop di ieri del Washington Post abbiamo appreso che anche Google, oltre a Facebook e Twitter, aveva accettato pubblicità pagate da intermediari del governo russo per condizionare la campagna elettorale americana nel 2016. Questo tipo di pubblicità sui social è più subdola di quella normale, perché i contenuti appaiono come se fossero scritti da cittadini americani per cittadini americani, e invece sono il risultato del lavoro di tecnici stranieri esperti in propaganda. Questo spiega anche perché ci stiamo mettendo così tanto a capire il funzionamento di queste operazioni di inquinamento dei social, con rivelazioni che ci arrivano strato dopo strato e soltanto dopo numerose smentite – non è successo nulla! – che nel giro di appena pochi giorni suonano ridicole. Questa situazione ci porta a una domanda. Perché il governo russo ha intuito così in anticipo questa potenzialità dei social media – molto più facili da manipolare che i media normali, e molto più efficienti nell’indottrinare l’audience – e invece Europa e America cominciano a capire adesso? Perché c’è questo ritardo culturale e anche di sicurezza rispetto a Mosca, che per esempio da anni ha creato le fabbriche dei troll dove personale pagato si occupa tra le altre cose di bombardare di commenti positivi o negativi gli articoli di giornali online a seconda di quanto viene loro detto dai superiori e a seconda della linea del governo russo?
La risposta sta nel modo diverso di vedere il mondo. In occidente consideriamo i social media come uno spazio libero, in cui io scrivo la mia opinione, tu scrivi la tua, non c’è una gerarchia calata dall’alto e non c’è uno scopo ulteriore che non sia dichiarato. Capiamo che la pubblicità del supermercato che ci appare su facebook fa parte del gioco e la accettiamo perché è esplicita e perché sappiamo che il profitto è necessario alle piattaforme social per funzionare. Ma l’idea che questo sistema sia occupato a nostra insaputa e ritorto contro di noi per plasmare le nostre convinzioni politiche non ci sfiora. Siamo noi che generiamo i contenuti. Consideriamo facebook come l’agorà, la piazza pubblica dove gli ateniesi discutevano, l’agorà è di tutti, quindi non è di nessuno. Giusto? No, sbagliato, è una visione ingenua. I russi hanno invece una visione più vicina alla realtà delle cose, i social sono il mezzo di propaganda che agisce sulle nostre teste come i telegiornali e i giornali non possono più fare, il primo che ne occupa un pezzo e ne approfitta vince – come infatti è successo. I russi sono più duri, meno interessati al funzionamento ideale delle cose e più attenti a come ricavarne un vantaggio e hanno fregato la Silicon Valley al suo stesso gioco – o forse le compagnie americane erano molto desiderose di farsi fregare, è tutta pubblicità pagata.
Si chiama distopia, pensavi che la libertà di circolazione delle idee su internet avrebbe emancipato le donne musulmane – e chissà che non lo stia facendo – e invece nel frattempo ti sorbisci un meme prodotto da una equipe russa che però finge di essere un movimento di protesta texano. Non c’è soluzione a breve termine. Certo che però a essere un po’ più preparati si diventa anche meno vulnerabili alla schiuma che ti arriva addosso da ogni parte, sia quella artificiale, prodotta per scopi politici, sia quella naturale, prodotta dagli scemi veri.
Dalle piazze ai palazzi