La crisi politica di Facebook è così grave che Zuckerberg usa lo charme di Sandberg
Il social media dovrà testimoniare al Congresso il primo novembre sulle intromissioni russe e prova a reagire
Roma. Sono probabilmente le settimane più complicate nella storia di Facebook. Dalla campagna elettorale in avanti la società tecnologica americana, insieme a Google e Twitter, è stata molto criticata per non aver limitato la circolazione di fake news e di contenuti di propaganda razzista e xenofoba. Nelle ultime settimane è stata confermata anche l’altra notizia che già circolava da tempo: la Russia ha utilizzato il social network per cercare di influenzare le presidenziali. Il 21 settembre Mark Zuckerberg, in un video rilasciato dalla piattaforma, aveva spiegato in un messaggio alla “comunità” che Facebook avrebbe consegnato alla commissione parlamentare che sta indagando sulle interferenze di Mosca tutte le informazioni necessarie relative ai 3.000 annunci pubblicitari riconducibili ad account del Cremlino. L’annuncio, che nelle intenzioni del fondatore avrebbe dovuto calmare le acque, non ha placato le critiche dell’opinione pubblica sulla mancanza di trasparenza della compagnia e la volontà del legislatore statunitense di intervenire e regolare il “wild market” della pubblicità e del trattamento dei dati personali di Facebook.
Mai dalla rivoluzione dei social media la Silicon Valley era stata così poco popolare nell’opinione pubblica americana. Mai la pressione della politica era stata così forte verso l’introduzione di nuove e stringenti regole. Facebook ha capito che ormai la situazione è sfuggita di mano: la convocazione, prevista per il 1° novembre, davanti alla commissione Intelligence del Congresso per testimoniare sull’ingerenza russa durante la campagna elettorale, è probabilmente l’inizio di una fase diversa per la compagnia digitale. Che dovrà rispettare nuove regole e obblighi verso il governo americano. Ecco perché Facebook ha deciso di schierare Sheryl Sandberg, la potentissima direttrice operativa (Coo) dell’azienda, che da mercoledì è a Washington per una serie di incontri politici di alto livello. Recode riporta che Facebook non ha voluto rendere pubblica l’agenda completa di Sandberg, e l’unico evento ufficiale è un meeting con il Black caucus, il comitato parlamentare composto da deputati e senatori afroamericani, ma Reuters ha rivelato che ci saranno altri incontri fuori calendario. Sandberg inoltre si è prestata a un tour mediatico in cui ha risposto alle domande di media come Axios e il Wall Street Journal. Proprio ad Axios Sandberg ha ammesso che durante la campagna del 2016 sulla piattaforma “sono successe cose che non dovrebbero succedere”, e ha chiesto scusa al popolo americano per il ruolo inconsapevole svolto dal social media nel facilitare l’interferenza di agenti russi. Il suo obiettivo è cercare di rassicurare l’opinione pubblica sulla volontà di Facebook di risolvere i problemi emersi nell’ultimo anno e prevenire nuove manipolazioni dei processi elettorali. La visita della Coo fa parte di una campagna più ampia del social media, che ha comprato pagine pubblicitarie sui principali quotidiani per spiegare la propria posizione e avviato un piano di nuove assunzioni nel reparto pubbliche relazioni.
Il viaggio a Washington si è reso necessario anche per preparare la risposta mediatica all’audizione del 1° novembre, una testimonianza che Facebook vorrebbe evitare in tutti i modi. Anche per questo non è ancora chiaro chi si presenterà davanti agli investigatori, se Mark Zuckerberg in persona, Sheryl Sandberg o qualcun altro. In questo momento la commissione d’indagine e Facebook sono in trattativa per pubblicare il contenuto dei 3.000 acquisti degli account russi, e alcuni membri hanno incontrato Sandberg mercoledì pomeriggio: “Abbiamo chiesto a Facebook un aiuto per eliminare ogni dato personale ma speriamo che quando l’azienda finirà di esaminare il materiale potremo rendere tutto pubblico”, ha detto in conferenza stampa uno dei democratici del comitato, Adam Schiff. In ogni caso, come ha spiegato a Bloomberg il capo dell’inchiesta, il repubblicano Michael Conaway, difficilmente la pubblicazione avverrà prima dell’audizione. “Riteniamo che il Congresso sia l’istituzione più qualificata per decidere se e quando i dati delle pubblicità potranno essere resi accessibili al popolo americano”, ha scritto Sanberg in un post su Facebook dopo l’incontro.
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