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La guerra infinita fra Trump e i media. Con un effetto finale che ci riguarda tutti

Paola Peduzzi

Il presidente americano furioso fa fare due salti in più al suo scontro con la stampa

Milano. “È francamente disgustoso il modo in cui la stampa è in grado di scrivere qualsiasi cosa voglia”, ha detto mercoledì Donald Trump. Commentava un articolo di Nbc News in cui si diceva che, nel luglio scorso, il presidente avrebbe chiesto un’espansione “10 volte tanto” dell’arsenale nucleare americano. “Pura fiction”, aveva già scritto Trump su Twitter, ma durante l’incontro ha precisato il suo disgusto, “vedo una stampa tremendamente disonesta, non si tratta nemmeno di distorsione, presentano fonti che nemmeno esistono”. Più tardi, di nuovo su Twitter, Trump ha detto che i network sono diventati così “partigiani e distorti e falsi” che bisognerebbe “rivederne e, se appropriato, revocarne le licenze”. 

     

Questo non è che l’ultimo atto di una faida che esiste da quando Trump è diventato il candidato dei repubblicani alla Casa Bianca, lui che oggi rivendica – addirittura – di aver inventato il termine “fake news” (è un fake anche questo!, strillano indignati i commentatori e i linguisti) e che ha scandito la sua avventura politica con attacchi diretti, il dito puntato verso i giornalisti, attacchi personali, attacchi via Twitter, liste di media “fake”, siete spazzatura. Il riferimento alle licenze, alla volontà del presidente di voler intervenire concretamente contro una copertura che lo svilisce e lo fa infuriare, ha suscitato qualche preoccupazione in più: cosa vuole fare esattamente? C’è il Primo emendamento, diamine. Ma a preoccupare di più è la contingenza, il moltiplicarsi di articoli – “fake!” – che dipingono un presidente furibondo, fuori controllo, una pentola a pressione pronta a scoppiare, come scrive il Washington Post, uno che “odia tutti”, come scrive Vanity Fair, che recupera anche un riferimento al 25esimo emendamento, la possibilità che il presidente sia deposto dal suo stesso cabinet (quando Steve Bannon, ex consigliere, gli disse che più che l’impeachment a essere pericoloso è questo emendamento, e Trump gli chiese: “Cos’è?”).

  
Le conseguenze di questa faida e di questa ira non riguardano soltanto le licenze o il rapporto interrotto tra la Casa Bianca e buona parte dei media tradizionali americani. Un’ora e mezza prima che mercoledì Trump denunciasse il suo disgusto, il dipartimento di stato – guidato da quel Rex Tillerson che è una delle cause della furia trumpiana: gli avrebbe dato di “imbecille”, proprio alla fine di quel meeting “fake” sull’arsenale nucleare americano – aveva rilasciato un comunicato contro la Turchia che ha condannato al carcere una giornalista del Wall Street Journal per un reportage sui curdi. “La libertà d’espressione – dice il comunicato del dipartimento di stato – rafforza la democrazia e ha bisogno di essere protetta. Più voci, non meno, sono necessarie nei momenti più difficili”. L’America a questo è sempre servita, nel mondo: a ricordarci la forza della libertà. E un presidente furioso che mette mano alle licenze mette in discussione prima di tutto questa forza di “persuasione morale” che ha reso unico l’occidente.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi