Che cosa lega Idlib, Erbil e Barcellona?
Islamisti siriani, indipendentisti curdi, separatisti catalani, il vizio geopolitico dell’azione senza calcolare prima le mosse
Roma. Che cosa lega Idlib, Erbil e Barcellona? La prima città è la roccaforte dell’opposizione estremista al regime siriano, la seconda è la capitale del Kurdistan iracheno e la terza è la città più importante della Catalogna. Sono tutte e tre luoghi dell’irrealtà, dove per qualche motivo che all’esterno viene difficile capire si è deciso di fare i conti senza tenere in considerazione le condizioni strutturali – contro cui prima o poi si va a sbattere la faccia.
Idlib è una città del nord della Siria che guida il pezzo di territorio più ampio rimasto ancora fuori dal controllo di Bashar el Assad (eccezion fatta per le aree curde, ma quelle sono un’altra storia). Il fatto è che le condizioni sono diverse dal 2012, quando il regime falciava a colpi di mitra le proteste e la comunità internazionale tifava per la deposizione di Assad. I gruppi islamisti più duri (non lo Stato islamico che perde a Raqqa, dall’altra parte del paese: altri gruppi riuniti sotto un ombrello, come si dice in questi casi, che si fa chiamare Movimento per la rivoluzione nel Levante) sono da tempo diventati dominanti negli stessi luoghi dove anni fa comandavano i gruppi nazionalisti. Sono fazioni che negli anni scorsi proclamavano fedeltà ad al Qaida. Ora, se avevi cominciato una rivoluzione e sei finito all’angolo nel nord della Siria e hai ovviamente bisogno di aiuto e appoggi da fuori, allora perché associ quel che rimane della tua rivoluzione al marchio più velenoso (alla pari con lo Stato islamico) del mondo, al Qaida? A quello stesso marchio che milioni di viaggiatori in coda in migliaia di aeroporti in tutto il mondo associano agli attentati e all’estremismo islamico? Perché hai una ignoranza quasi suicida del mondo. Sfidi condizioni strutturali senza pensare a cosa succederà, è l’equivalente geopolitico di lanciarsi contro un muro.
A Erbil in questo momento stanno facendo i conti con la perdita secca del 40 per cento dei profitti da greggio, perché l’esercito iracheno ha preso i pozzi più importanti. Già i calcoli degli indipendentisti non tornavano prima, ora che razza di Kurdistan separato sarebbe? Attorniato da nemici e senza risorse. Si spera in un negoziato con il governo di Baghdad, ma la speranza nel 2017 non dovrebbe più essere il faro guida delle decisioni cruciali. I curdi hanno ignorato una processione di diplomatici internazionali che consigliavano loro di non andare avanti con il referendum, ora sono in mezzo a una crisi durissima.
A Barcellona, dove la situazione è ovviamente meno tesa che in Siria e Iraq, c’è stato un approccio simile: prima lanciamoci a testa bassa, poi si vedrà. Va bene se la polizia segreta del tuo governo ti opprime, ti sta dando la caccia e soffoca nel sangue le tue proteste, ma va meno bene se abiti in una delle regioni più ricche di Spagna e i tuoi cittadini hanno come problema principale l’invadenza del turismo di massa. Voti per la separazione, poi guardi le banche e le aziende scappare a gambe levate verso l’Europa, verso il resto del mercato, verso il resto del continente da cui ti vuoi staccare.
E fierezza e idealismo? Che fine fanno gli impulsi che hanno mosso molti capitoli di storia, nobili e meno nobili, se si calcola già in partenza come andrà a finire? La prima qualità discreta dell’idealismo costruttivo dovrebbe essere non farti finire in un cul de sac. Siate semplici come colombi e astuti come serpenti dice il Vangelo, un testo idealista che non è stato scritto da Henry Kissinger.