Xi annuncia l'inizio di una "nuova èra", e c'è da preoccuparsi
Il presidente proclama per 36 volte la costruzione di un "grande stato socialista" e già prepara la superpotenza. Emergono i nuovi leader
Roma. Il presidente cinese, Xi Jinping, all’apertura del Congresso del Partito comunista ha annunciato in un discorso durato tre ore e mezza l’avvento della Cina come prossima superpotenza mondiale. Non l’ha detto esplicitamente, ma nel discorso di apertura del 19esimo Congresso del Partito comunista, uno dei più importanti della sua carriera e certamente il discorso-guida dei prossimi cinque anni di vita politica ed economica in Cina, il presidente ha disegnato forse la visione più ambiziosa per la Cina comunista e per il suo ruolo nel mondo di tutta la storia della Repubblica popolare – con l’eccezione dei discorsi di Mao Zedong, che però avevano la macchia dell’esagerazione propagandistica e della devianza assolutistica. Non è stato un discorso trascinante o di alto valore retorico: è stato lunghissimo, era ricolmo di gergo burocratese comunista e alcuni membri anziani della leadership si sono perfino appisolati mentre Xi parlava. Gli osservatori, come al solito, sono costretti a discernere con difficoltà gli elementi fondamentali dal linguaggio burocratico, ma quello che ne esce è importante. La locuzione principale del discorso storico di Xi è: “nuova èra”. Il presidente cinese l’ha ripetuta 36 volte, ed è anche la chiave per comprendere l’ideologia politica che emerge dal discorso. Il nome ufficiale è “Dottrina del socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova èra”, e questa definizione, nella sua pomposità, è fondamentale. Xi prende uno dei pilastri dell’ideologia politica cinese (“il socialismo con caratteristiche cinesi” coniato dal padre della patria Deng Xiaoping) e promette di portarlo in una “nuova èra”, come a dire: con me, tutto cambia.
Sembra una questione di slogan comunisti e lana caprina, ma non è così. Anzitutto, si guardi alla dottrine politiche dei due predecessori di Xi. Jiang Zemin (1992-2003) aveva la “Teoria delle tre rappresentanze”; Hu Jintao (2003-2012) aveva il “Concetto dello sviluppo scientifico” – ideologie noiose. Al contrario, l’ideologia della nuova èra di Xi Jinping è ambiziosa e audace, almeno dal punto di vista cinese. Quasi certamente, sarà inserita nella Costituzione del Partito, forse con il nome di Xi a fianco: segnale di uno strapotere che solo Mao e Deng hanno avuto finora.
Per Xi Jinping, la nuova èra è incarnata anzitutto dalla sua stessa figura. Q uando è salito al potere, cinque anni fa, il Partito comunista era traballante; oggi è più forte che mai, e la presidenza di Xi è già considerata da tutti uno spartiacque storico. Xi ha preso un vecchio arnese politico del Ventesimo secolo e l’ha trasformato in una macchina di governo buona per i nostri tempi, in un modello di governo autoritario e repressivo che vuole presentarsi come alternativo e indipendente al liberalismo e alla democrazia occidentali.
A livello interno, il “sogno cinese” di Xi Jinping si traduce in una nuova timeline per lo sviluppo economico. Il presidente cinese si dà tempo fino al 2035 per costruire una “società moderatamente prospera” e poi fino alla metà del secolo per dare vita a un “grande stato socialista moderno”. Questo “grande stato” è l’obiettivo finale del “rinascimento della nazione cinese” desiderato da Xi Jinping, ed è qui che il discorso si fa quasi trionfale, mostrando tutte le ambizioni da superpotenza: la Cina è già “diventata una grande potenza mondiale” e ha giocato “un ruolo importante nella storia dell’umanità”, ha detto il presidente: “E’ tempo per noi di prendere il centro del palcoscenico mondiale e di dare un contributo sempre maggiore allo sviluppo umano”. Ma sarà solo a partire da metà del secolo, dal 2050, che la Cina diventerà “un leader globale in termini di forza nazionale organica e di influenza internazionale”, vale a dire: una vera – e forse l’unica – superpotenza. Allora “il popolo cinese godrà di grande felicità e benessere, e la nazione cinese sarà sempre più fiera e salda nel mondo”, ha detto il presidente. Xi ha rinsaldato questi obiettivi invocando un rafforzamento delle Forze armate che trasformi l’Esercito di liberazione in una forza di livello mondiale, ma ha detto più volte che la Cina non cerca l’egemonia.
Altro termine ricorrente nel discorso di Xi Jinping è la parola “riforme”. Il presidente cinese ne ha parlato più volte, ma non sono certo quelle che noi ci aspetteremmo. Sono finiti i tempi in cui Xi era visto da tutti come un riformatore, quelli in cui, in una famigerata column del 2013, Nicholas Kristof scriveva sul New York Times che il leader cinese avrebbe sloggiato Mao da piazza Tiananmen e liberato il dissidente Liu Xiaobo. Le riforme politiche, ovviamente, sono fuori discussione, e anzi Xi ha invocato il rafforzamento del Partito e la sua continua assimilazione con gli organi dello stato. Ma anche le riforme economiche non sembrano priorità: Xi ha parlato di apertura ai commerci e alle imprese straniere e ha usato parte della retorica mondialista che tanto è piaciuta ai notabili internazionali a Davos. Ma poi ha aggiunto che saranno rafforzate le imprese pubbliche e potenziato il settore economico statale.
Intanto, mentre adesso i leader del Partito si inabissano nei negoziati congressuali, emergono i nomi della prossima generazione di notabili, e dunque dei possibili successori. Ben posizionato è Chen Min’er, segretario provinciale del Chongqing e pupillo del presidente, ma è possibile perfino che Xi voglia guidare lui stesso la Cina nella “nuova èra”, ben oltre la scadenza del suo secondo mandato nel 2022.