Un'imboscata islamista in Niger diventa un caso contro Trump
Tre uomini delle forze speciali uccisi subito, un quarto trovato morto due giorni dopo, il silenzio della Casa Bianca
Roma. Mercoledì 4 ottobre è successo un episodio di guerra che sta mettendo molto in difficoltà l’Amministrazione Trump. Ecco com’è andata secondo una ricostruzione fatta con le versioni del Pentagono, dei media e di esperti militari. Un gruppo di dodici uomini appartenenti ai Berretti verdi – le forze speciali dell’esercito americano – arriva in un villaggio nel sud-ovest del Niger, vicino al confine con il Mali, per un incontro con i locali. I Berretti verdi sono in quella parte dell’Africa per appoggiare le operazioni dell’esercito contro i gruppi terroristici che infestano la zona e che sono equamente divisi tra al Qaida e lo Stato islamico. L’intelligence assicura che il livello di rischio è molto basso, i soldati non hanno avuto problemi per sei mesi e viaggiano in pick-up civili e non blindati. Mentre alcuni soldati sorvegliano i mezzi e gli altri hanno appena finito l’incontro e tornano verso di loro, comincia un attacco da parte di cinquanta guerriglieri con fucili d’assalto, mitragliatrici e granate a razzo, è un’imboscata preparata in anticipo.
“Non ce lo aspettavamo – ha ammesso il portavoce di Africom, il comando del Pentagono che segue le operazioni in Africa – altrimenti avremmo investito molte più risorse per minimizzare il pericolo”. I Berretti verdi escono dai mezzi, cercano riparo e rispondono al fuoco per almeno trenta minuti, prima dell’arrivo di caccia Mirage francesi – che hanno il compito di dare copertura aerea perché in quell’area non c’è l’aviazione americana. I piloti francesi non sono autorizzati a bombardare, così fanno alcuni passaggi radenti per dissuadere gli aggressori. Nel frattempo arrivano anche gli elicotteri della Berry Aviation, che è un’azienda contractor che fornisce ai militari americani i suoi servizi in quella regione, per portare in salvo i soldati bloccati a terra. Succede spesso che il Pentagono si appoggi a contractor esterni per missioni di questo genere – per esempio gli aerei da ricognizione americani che partono dalla Sicilia per sorvegliare la Libia sono di aziende private assoldate dal governo americano. Nel frattempo però tre soldati erano stati uccisi e due erano stati feriti. Gli elicotteri partono e lasciano a terra un quarto soldato, il sergente David Johnson, che era rimasto isolato dal gruppo. Non si sa se è un errore dovuto alla fretta o all’impossibilità fisica di recuperarlo. Johnson attiva subito un congegno che segnala la sua posizione, e questo vuol dire che era cosciente e vivo quando è stato abbandonato. La violazione del principio base “no man left behind”, non si abbandona nessuno in zona di guerra. Comincia subito un’operazione gigantesca di salvataggio, ma il suo corpo è ritrovato soltanto due giorni dopo nel nord-ovest del paese, quindi lontano dal luogo dell’imboscata. Il cadavere di Johnson arriva alla base aerea di Dover in America il 7 ottobre, ma – e questo è un particolare che ha colpito molto l’opinione pubblica americana – alla vedova è consegnata una bara chiusa, per non far vedere in che condizioni è. Un fotografo di guerra americano, Michael Yon, ex Berretto verde, scrive su Facebook che secondo le sue informazioni Johnson è stato catturato, portato lontano e infine ucciso a colpi d’arma da fuoco.
Due giorni fa l’intelligence militare americana ha detto che con molta probabilità l’imboscata è stata fatta da combattenti di un gruppo dello Stato islamico. E qui viene il problema, perché il presidente Donald Trump non ha detto una parola sull’accaduto fino a lunedì 16 ottobre e soltanto perché ha dovuto rispondere alla domanda di un reporter. La sua reticenza e le parole poco sensibili che avrebbe rivolto alla vedova incinta di Johnson (“sapeva a cosa andava incontro quando si è arruolato”, ma lui nega) hanno creato la consueta cortina di sdegno. Ma se un soldato americano è stato abbandonato e ucciso dallo Stato islamico e il presidente fa finta di nulla c’è il potenziale per un nuovo caso Bengasi, l’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia nel 2012 che fu tanto rinfacciata a Hillary Clinton.