Consigli strabici all'Italia dal Consiglio d'Europa

Virgilio Falco

Un rapporto raccomanda di smantellare le riforme sugli enti locali degli ultimi dieci anni

Strasburgo. Enti locali “con ridotta abilità di disporre di personale qualificato”, “con inadeguate risorse fiscali a disposizione”, “senza una chiara prospettiva per la situazione delle province dopo il rigetto della riforma costituzionale” e “organi governativi di province e città metropolitane non eletti da un suffragio diretto e universale”. Quello che può sembrare un documento di censura verso un paese in via di sviluppo è invece la descrizione che fa dell’Italia in un rapporto votato quasi all’unanimità il trentatreesimo congresso delle autorità locali e regionali del Consiglio d’Europa, organismo consultivo e di monitoraggio che vede l'Italia tra i suoi membri fondatori.   

 

A Strasburgo il repporteur olandese incaricato di stilare il report non va per il sottile e in modo particolare individua nelle tormentate province il principale luogo delle contraddizioni italiane: prima svuotate di personale (trasferito presso regioni e comuni) e di economie in vista del referendum per la loro abolizione, poi riformate dalla riforma Delrio nel 2014 con l’elezione degli organi politici non più direttamente dai cittadini ma dagli amministratori locali, a seguito del fallito referendum che voleva tagliarle dalla Costituzione sono rimaste in un limbo di precarietà, trattenendo ancora vaste competenze in materia di tutela ambientale, edilizia scolastica e trasporti solo volendo fare alcuni esempi.  

 

I delegati riuniti alla sede del Consiglio d’Europa dal 18 al 20 ottobre si sono anche preoccupati delle riforme agli emolumenti per i consiglieri degli enti locali, già aboliti negli ultimi anni in modo bipartisan da Brunetta a Delrio. La  raccomandazione è quella di “stabilire un sistema di equa e appropriata remunerazione dei rappresentanti delle province e città metropolitane per il disbrigo delle loro responsabilità”. Una indicazione divergente rispetto alle dichiarazioni che Matteo Renzi fece prima dell’approvazione della legge di riordino delle province. “Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un'indennità dagli italiani”, twittava il presidente del Consiglio dell’epoca.  

 

A difendere la posizione italiana nell’emiciclo europeo c’era Piero Fassino, consigliere comunale di Torino, ex sindaco della città, e responsabile esteri del Pd che sul tema delle inadeguate risorse finanziate se l’è presa direttamente con i rappresentanti dei governi europei che hanno portato l’Italia ad approvare “le politiche di austerità di cui hanno sofferto anche i comuni, le province e le regioni”. 

 

Fassino ha provato a rispondere anche alle accuse rivolte alle elezioni non dirette per i vertici delle province indicando come il Senato francese sia selezionato con non differenti modalità senza che nessuno metta in dubbio l’illegittimità dei senatori in Francia. La difesa di Fassino non porta però a grandi stravolgimenti del testo, su 57 pagine viene modificata soltanto una parola attraverso un emendamento, e il report passa con 88 voti a favore, 2 contrari e 1 astenuto. Quella di Strasburgo è una prova di come riforme altalenanti possono dare ossigeno a posizioni gravi verso l’Italia, rendendo credibile un repporteur che critica le elezioni di secondo livello mentre nel suo paese la Camera alta viene eletta con lo stesso meccanismo.