Responsabilità tech
Un disegno di legge vuole normare gli annunci politici sui social. La guerra di lobby di Facebook e co.
Roma. Un disegno di legge con sostegno bipartisan presentato giovedì al Senato americano chiede che la Silicon Valley renda tracciabili autori e contenuti degli annunci pubblicitari a carattere politico pubblicati sui grandi social network. La proposta è stata presentata da due senatori democratici, Amy Klobuchar e Mark Warner, ma ha trovato il sostegno anche di membri del Partito repubblicano, primo tra tutti John McCain, ed è il segnale di un nuovo clima di responsabilizzazione politica delle grandi compagnie tecnologiche americane, dopo le accuse di aver trascurato i progetti di intromissione di agenti russi nella campagna presidenziale dell’anno scorso.
L’Honest Ads Act prevede che tutte le piattaforme digitali che hanno almeno 50 milioni di visite o di utenti siano tenute a conservare in un archivio di pubblico dominio tutti gli annunci pubblicitari di carattere politico, includendo l’identità dell’inserzionista. Questo succede già negli Stati Uniti con tutti gli altri grandi media: chi trasmette uno spot politico in radio o tv o lo pubblica su un giornale è obbligato per legge a rivelare per quale gruppo lavora e quale candidato sostiene. Finora, il web era sempre stato esentato da queste regole perché, come si legge tra i documenti della Commissione elettorale federale, internet è “una modalità unica e in evoluzione di comunicazione di massa e di discussione politica che è differente da ogni altro media in una maniera che richiede un approccio regolatorio più trattenuto”. Per anni, la Silicon Valley ha fatto con buon successo attività di lobby per mantenere le cose così come stanno, ma il disastro delle interferenze russe ha cambiato definitivamente le prospettive del pubblico e della classe politica: basta aprire i giornali americani (e non solo) per leggere praticamente ogni giorno un nuovo scandalo su come Facebook, Google e Twitter abbiano consentito ad agenti stranieri di approfittare dei loro meccanismi pubblicitari per deviare il processo democratico, creare divisione nella società, enfatizzare discorsi di odio.
La reticenza delle società tech davanti alle accuse non ha fatto che aumentare i sospetti, e così gli antichi beniamini della politica americana, le società fantastiche capaci di creare magia e offrire servizi gratis ai cittadini, sono diventati agli occhi di parte dell’establishment agenti opportunistici la cui smania di profitto ha messo in pericolo la tenuta stessa della democrazia americana. Ovviamente la verità sta nel mezzo, e il disegno di legge dei senatori americani serve a riportare la “questione politica” della Silicon Valley nell’ambito della normale regolamentazione. Tra le norme previste, vi è anche l’obbligo per le società tech di specificare anche il target di ogni annuncio: vale a dire le categorie di persone che l’inserzionista ha selezionato per esporle al messaggio pubblicitario. Un altro disegno di legge simile è in preparazione anche al Congresso.
Davanti alla prospettiva di essere omologate a tutti gli altri media, le società della Valley stanno correndo ai ripari. Secondo il New York Times, l’industria sta “mobilitando un esercito di avvocati e lobbisti” per fermare la legge, tra cui, ironicamente, un ex consigliere di Hillary Clinton, la candidata presa di mira dai troll russi.
La necessità di responsabilizzazione della Silicon Valley non è solo americana. L’Europa, anzi, è capofila, non solo con i discussi e controversi procedimenti fiscali della commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager. Alla riunione dei ministri dell’Interno del G7 tenutasi la settimana scorsa a Ischia, sono stati invitati anche i rappresentanti di Google, Facebook, Microsoft e Twitter. L’obiettivo era la prevenzione della propaganda terroristica, ma il messaggio dei ministri è stato chiaro anche su tutti gli altri ambiti: non siete un semplice medium, è ora che l’industria tech si assuma le sue responsabilità.
I conservatori inglesi