Babis e l'europeismo
Qualche dettaglio sul voto a Praga per spiegare che la frattura con l’est è una questione di soldi
Bruxelles. La vittoria di Andrej Babis alle elezioni legislative di sabato scorso in Repubblica ceca può essere una nuova rivoluzione di Praga ma, contrariamente a quel che sperano i tifosi di una nuova frattura tra ovest e est in Europa, non rappresenta uno schiaffo all’Unione europea. Si può essere anti establishment e anti immigrazione e al contempo pro democratici e pro europei? Babis ha risposto positivamente subito dopo che il suo partito Ano ha conquistato il primo posto domenica, ottenendo quasi il 30 per cento dei voti. “Siamo un movimento democratico (…). Non è vero che siamo una minaccia. Siamo pro europei”, ha detto Babis celebrando la vittoria. La sua Repubblica ceca non sarà come la Polonia di Lech Kaczynski o l’Ungheria di Viktor Orban – suoi futuri partner nel gruppo di Visegrad insieme alla Slovacchia di Robert Fico.
Praga continuerà a essere un partner “impegnato nell’Ue e nella Nato”, ha rassicurato Babis, il cui impero imprenditoriale costruito attorno alla holding Agrofert ha sussidiarie in Germania, Olanda, Ungheria, Polonia e Slovacchia. Babis può avere criticato l’euro e rifiutato il sistema di ripartizione automatica dei richiedenti asilo. Ma le sue credenziali sono europeiste. Nei suoi tre anni come ministro delle Finanze (dal 2014 al 2017), Babis ha lavorato bene con i suoi colleghi dell’Ecofin. Gli europarlamentari di Ano siedono nel gruppo dell’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa guidato dall’eurofilo Guy Verhofstadt. La commissaria ceca Vera Jourova, responsabile nell’esecutivo europeo di Jean-Claude Juncker per la Giustizia, è esponente del partito di Babis. Il probabile futuro premier ceco non è un ideologo nazionalista. E’ un imprenditore controverso, in particolare per le accuse di conflitto di interesse e l’uso dei suoi media a fini politici. Ma è un affarista pragmatico, che conosce bene il valore e i vantaggi del mercato interno europeo per una Repubblica ceca che fa l’80 per cento delle sue esportazioni nella zona euro. Non è un caso se, ribattezzandolo “Babisconi”, Foreign Policy abbia scelto un modello diverso da Donald Trump e altri personaggi antisistema per descrivere Babis.
I risultati delle elezioni di domenica mostrano che la rivoluzione Babis è innanzitutto interna. Il suo partito Ano – Azione dei cittadini insoddisfatti – era nato nel 2011 come movimento anti corruzione e ha prosperato grazie alla promessa di Babis di “governare il paese come un’azienda”. Al ministero delle Finanze, Babis ha dimostrato di poterlo fare con crescita solida, una disoccupazione al 3,3 per cento, un avanzo di bilancio dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo. Domenica gli elettori cechi hanno punito l’establishment che aveva dominato dopo la caduta della Cortina di ferro, in particolare i socialdemocratici del premier uscente Bohuslav Sobotka, passati dal 20,5 per cento del 2013 al 7,3 per cento. Tra i partiti tradizionali, il centrodestra di Ods con l’11,3 per cento ha fatto meglio di quattro anni fa, ma è lontano dal 20/30 per cento del ventennio precedente. La battaglia per il terzo posto è stata vinta da un partito anti establishment ma pro europeo, quello dei Pirati, che ha ottenuto il 10,8 per cento contro il 10,6 per cento del Spd, formazione xenofoba ed eurofoba guidata da un cittadino ceco di origine giapponese, Tomio Okamura. Un altro gruppo pro Ue, Top 09, ha superato la soglia del 5 per cento per entrare in Parlamento. Per i comunisti anti Ue e anti Nato, che dopo la fine del comunismo avevano sempre ottenuto più del 10 per cento, sono scesi al 7,8 per cento. Come altrove in Europa, il quadro politico ceco è sempre più frammentato. Come Mark Rutte all’Aia, Angela Merkel a Berlino o Sebastian Kurz a Vienna, Babis ora dovrà formare un governo di coalizione. La scelta più facile sarebbe replicare la grande coalizione con i socialdemocraticidel Cssd e i conservatori di Ods. Un’alternativa potrebbe essere di associare Ano ai pirati pro europei, Ods e i pro europei. Un governo con l’estrema destra di Okamura è stato invece escluso dallo stesso Babis.
Il dopo Brexit
In Europa la priorità europea di Babis sarà di evitare la rottura tra est e ovest, che è diventata invece una costante degli ultimi vertici continetali. Nell’Unione europea si deve “smettere di parlare di un’Europa a due velocità”, ha detto il leader di Ano domenica sera. Il momento della verità arriverà nel 2018, quando i 27 inizieranno a discutere del bilancio pluriennale per il 2020-2027. L’uscita del Regno Unito dal consesso europeo priverà l’Ue di 11-12 miliardi l’anno (il 10 per cento del suo bilancio): o gli stati occidentali pagheranno di più o gli stati orientali riceveranno di meno. A Parigi, Berlino e Roma si moltiplicano le voci di chi chiede di condizionare i fondi strutturali europei al rispetto degli impegni sui migranti o dello stato di diritto. In questa trattativa strategica, se Babis si troverà con la Polonia o l’Ungheria, sarà più per necessità che per spirito anti europeo.
I conservatori inglesi