Volete vedere da vicino l'antidoto al populismo? Venite a Tokyo
I giapponesi al voto scelgono la stabilita’ con Abe (più la prima che il secondo). Alcune risposte, e un nome da tenere d’occhio
Tokyo, dalla nostra inviata. “Quando parlo alle persone, preferisco dire che il paese ha bisogno di una ‘Amministrazione stabile’ piuttosto che ‘dell’Amministrazione Abe stabile’”, ha detto ieri un anonimo membro del governo giapponese all’Asahi shinbun. Vuol dire che Shinzo Abe, dopo le elezioni di domenica, sarà riconfermato primo ministro durante la sessione straordinaria del Parlamento di domenica, ma sulla sua persona cominciano a esserci un po’ di dubbi. Certo, la scommessa elettorale è stata vinta, e il Partito liberal democratico ha consolidato la sua maggioranza parlamentare, insieme con il partito alleato Komeito, ma questo non vuol dire che la vita politica di Shinzo Abe, da ora e nei mesi a venire, sarà in discesa. Soprattutto per via di quei nove seggi persi domenica, altro che “landslide”. “Di solito i cittadini giapponesi ogni cinque anni si stancano del loro primo ministro”, dice al Foglio Hiroki Sugita, caporedattore editoriale di Kyodo news, la principale agenzia di stampa nipponica.
“A settembre, quando Abe ha lanciato le elezioni anticipate, pensavo che gli elettori non gli avrebbero rinnovato la fiducia. La sua popolarità era in calo e credevo che questo avrebbe portato anche a una sfiducia nei confronti del Partito liberal democratico”, spiega Sugita. I vari sondaggi delle ultime settimane mostrano che, in effetti, la personalità di Shinzo Abe non è più molto gradita tra i giapponesi. “Poi c’era la variabile del governatore di Tokyo, Yuriko Koike, che ha avuto un momento di grande popolarità”. Ma come spesso accade soprattutto in Giappone in alcuni periodi, determinati personaggi della politica vengono sovraesposti, lanciati da una popolarità contingente, che però dura fino alle successive elezioni nazionali: era successo già nel 2015 con Toru Hashimoto, il Gran rottamatore, l’uomo che da sindaco della città di Osaka voleva mandare in pensione la vecchia politica e rivoltare “come un calzino” il Parlamento (ricorda qualcuno?). Questi leader-meteore si distinguono per una grande capacità comunicativa, soprattutto per i media stranieri – Hashimoto faceva l’avvocato televisivo in un programma tipo “Forum”, sapeva come acchiappare la telecamera, Koike pure viene dal giornalismo televisivo, e usa parametri occidentali per arringare la stampa, vuole fare le riforme “di Macron” e mettere “i cittadini di Tokyo ‘prima’” come ha fatto Donald Trump con gli americani. Il fatto è che alla prova nazionale la formazione di Toru Hashimoto, Nippon Ishin no Kai (il Partito della restaurazione, tanto per dare l’idea di quanto si tratti di un cambiamento progressista), non ha mai sfondato, e oggi resta in un marginale 4 per cento.
“In comune, le due vicende, hanno una cosa – spiega Sugita – Sia il partito di Hashimoto sia quello di Koike non hanno una base. Formazioni politiche del genere, per quanto siano forti nelle metropoli, restano a livello locale, poi è molto difficile portare quegli stessi voti nel Parlamento nazionale”. Se a livello locale può funzionare, ma non per guidare il paese, allora verrebbe da pensare che il Giappone sia davvero immune al populismo, periodicamente battuto alle urne. In realtà, fa notare Sugita, qualche elemento di populismo c’è anche nella conduzione dell’ultima campagna elettorale di Shinzo Abe: “In questo mese ha lanciato un messaggio – , dice l’editorialista – ed era un messaggio pieno di tensione e paura per la minaccia dei missili nordcoreani. In questi casi i cittadini cercano il leader forte, e lui aveva già pronta la risposta: il leader forte sono io, e sono anche molto amico del presidente americano Trump. L’opposizione non è stata in grado di dare altrettanta certezza su sicurezza e difesa”. Una risposta che però, adesso, potrebbe concretizzarsi con una riforma costituzionale che modifichi anche l’articolo 9, quello che vieta al Giappone di dotarsi di un esercito. La riforma riguarderebbe tutti, perfino l’Italia che con Tokyo ha firmato un accordo quadro sulla cooperazione su sicurezza e difesa. Ma secondo Sugita, quella riforma verrebbe affossata al referendum consultivo, necessario perché la Carta sia cambiata dopo il passaggio parlamentare.
Affluenza ai minimi
In effetti il dato dell’affluenza alle urne – altro punto di contatto con l'Europa – è drammatico: è andato a votare il 54 per cento dei giapponesi. Secondo Sugita, “i cittadini si sentono più o meno soddisfatti della situazione economica, altrimenti andrebbero a votare. Tra chi desidera le riforme, c’è ancora fortissimo il dibattito tra i sostenitori di un’economia basata sull’eguaglianza – e sono i sostenitori di Thomas Piketty e del suo “Capitale”, che dal 2015 in Giappone è bestseller economia – e quelli che vorrebbero semplicemente aumentare la crescita. Tra di loro, però, sono pochi quelli disposti a credere che i partiti all’opposizione sappiano fare di meglio di quello attualmente al governo. Senza contare che il programma dell’ormai ex Partito democratico era vago su alcuni punti e su altri si sovrapponeva a quello del Partito Liberal democratico”. Così, secondo Sugita, si spiegherebbe anche il recente revival del Partito comunista giapponese, l’unica “vera opposizione” insieme con un’altra nuova formazione, quella a cui dovremmo guardare per capire chi è il prossimo candidato premier alternativo ad Abe. Si tratta del Partito della Costituzione democratica e lo guida l’ex capo di gabinetto del governo Yukio Edano, l’uomo delle conferenze stampa durante la crisi del Grande terremoto del marzo 2011. Da 16 poltrone sono arrivati a 54, e con Edano è stato rieletto anche Naoto Kan, primo ministro all’epoca della tragedia.